mercoledì 21 dicembre 2011

Ora dei tarallini


Mai capitato di cominciare a scrivere e mollare dopo poche righe? Bene, su www.writeordie.com non avrete di questi problemi! Io ci ho provato e questo è il risultato, divertitevi!


Hai subito colpito sul mio punto debole. A me piacciono le persone che sanno raccontare bene le storie. Non è cosa da tutti, è un dono innato, c'è chi ce l'ha e chi non ce l'ha. Impazzisco per le storie ben costruite, per le parole messe insieme con arte, per le espressioni del viso, per i gesti, di chi le storie le sa raccontare bene. Sono sempre stata molto esigente. E sebbene da sempre ghiotta di storie di ogni genere, tra tutte preferivo quelle della nonna, maga dell'arte del raccontare. E non si pensi mica che tutte le nonne sono così, il saper raccontare non viene certo con l'età. O lo si ha o niente.
Hai subito colpito sul mio punto debole. E l'hai fatto con grande abilità. Appena mi hai vista, ti sei fermata e hai detto, Devo contemplarti. E poi le solite cose, Non ti vedo da tanti anni eri piccola così. Contemplarti. Come un quadro. Contemplarmi. Non penso nessuno mi abbia mai contemplata, guardata sì, notata magari, scorta, fissata, ma contemplata, no. Poi sei arrivata alle storie. Dicevo, con l'età non viene il saper raccontare, ma la voglia, quella sì che ce l'avete, voi vecchi. E infatti mi aspettavo delle storie da sbadigli e finto stupore. Invece no. Magia. Danzavi sulle parole con una splendida leggerezza. Meraviglia.
Ti prego continua. Raccontami di quel lontano cugino. E mia nonna, Era orgogliosa, mi dici, Era bellissima. Raccontami del dopoguerra.
Ma poi.
La bellezza di chi sa raccontare bene le storie sta in certe piccole cose, frasi, parole, che ti fanno vedere le cose in un modo che mai e poi mai, avresti potuto vedere da solo.
Mi facevano impazzire i camini.
Me lo dici così, con la semplicità di un Mi piacciono i gatti, i bambini o le torte di mele.
Come se fosse una cosa che dicono tutti. Con la stessa sincerità dei bambini quando raccontano i loro desideri impossibili. Volare o fare l'astronauta. Con la stessa serietà.
Mi facevano impazzire i camini, e le scintille del fuoco.
Mi dici.
E io sorrido.
A me fanno impazzire le persone che san raccontare bene le storie. Sono essenziali. Le storie e chi le racconta bene.

lunedì 12 dicembre 2011

Ora della damnatio memoriae

Contemplava il suo essere apolide seduta sul gradino della stazione. Senza appartenenza. Senza un posto dove essere, senza vincoli, come una casa. Senza un posto dove tornare.
Le pungeva l'anima la parola solitudine.
E moriva guardando gli abbracci. Nella stazione, gli abbracci.
Pensò che gli abbracci sono un po' come delle case, posti a cui appartenere. No, i baci no, i baci sono parole che non volano, ma muoiono sulle labbra, non si può appartenere ai baci.
Lo riconobbe tra la folla che andava e veniva.
Appena lui potè sentire la sua voce,
Amami, disse, Amami e portami via. Non ho fretta, ma portami via. Sono nomade stanca di cercare, apolide e sempre costretta a luoghi a cui non appartengo e non apparterrò. Riportami a casa. Ovunque essa sia, riportami a casa.

Un abbraccio.
Casa.
Forse.


martedì 6 dicembre 2011

Ora dell'omeostasi

Ci son cose che proprio. Rabbia.
Come Admeto. Quel. Vabbè.
Insomma Admeto è in fin di vita e Apollo gli concede di non abbandonare la Terra a meno che non trovi qualcuno disposto a morire al posto suo. Chiede ai genitori e no, non sono mica scemi loro, che trovasse qualcun altro. Come la moglie, per esempio. Tanto le donne sono inutili, no?
E poi si sa, l'impulso, il thumos, di una donna innamorata ha in se quella forza e quella determinazione che sarebbero capaci di tutto. Così Alcesti, per amore, dona la sua vita.
Lei sta per morire e il gesto più dolce che ad Admeto viene di fare, espressione del suo incommensurabile amore (tanto profondo da non contraddirla nella sua scelta di morire al posto suo), le giura eterna fedeltà. Ah beh. Complimenti vivissimi.
Non solo, questo gesto fu considerato come nobilissima espressione d'amore. Ah beh. Complimenti vivissimi.
Fortunatamente passava di lì Eracle, per il quale una è la cosa da fare, convincere Tanathos a lasciar andare Alcesti, insomma, anima più anima in meno.
Così Eracle la salva e la riporta indietro, velata. Admeto apprezza la donna velata (e l'eterna fedeltà? Ah beh, complimenti vivissimi) e solo in un secondo momento si scopre che in realtà è la moglie. I due ritornano insieme felici e contenti e Eracle torna da dove è venuto.
Ok, considerando la società patriarcale dell'epoca (solo, dell'epoca?) e la presunta misoginia di Euripide, ma cavolo, non si può considerare come tema della tragedia l'amore coniugale, non si può. Al massimo, se proprio bisogna trovare un senso, è che le donne si innamorano sempre di quei, vabbè, come Admeto, e quei pochissimi Eracle disposti ad andare nell'oltretomba per recuperarle si attaccano ad un lunghissimo e bellissimo tram. (Ecco dov'era il senso della tragedia, insomma)

sabato 26 novembre 2011

Ora dei temi persi

Sprofondai nel divanetto verde e mi sentii a casa. Passò quella donna in carne con due dita di trucco, sicura nei suoi passi, la cui bellezza di certo non si vede, ma si sente, quella voce scura di donna. Passò il batterista, quello con gli occhialetti. Passò l'uomo col cappotto nero, sempre elegante, e mi chiesi per l'ennesima volta cosa ci facesse lì.
Sentii le tue mani nell'aula C. Potevi essere solo tu.In una dimensione diversa. Non eri carne, eri suono, eri un'anima nuda che arrivava alle orecchie e sconvolgeva.  Con le orecchie isolai i tuoi tasti dai sassofoni dell'aula L, e dalle voci alla reception, dalla batteria dell'aula G e dai vocalizzi nell'aula T.
Come se- tra tutti- l'unico suono per le mie orecchie venisse dai tuoi tasti.
Mi rigirai le cinque lettere del tuo nome nella bocca, dimenticando che le parole, se tenute troppo spesso,  diventano estranee.
Scivolai tra le tue note, mi lasciai avvolgere, portare via. Piansi dentro. Emozione sottile. Ti pensavo a dare vita al piano a coda dell'aula C, solo, nella luce fioca,  tra gli altri strumenti addormentati.
Dentro ti pregai di continuare per sempre.
Le ultime note.
Silenzio.


venerdì 18 novembre 2011

Ora dei tappi

Il vento accarezzava le rughe del vecchio, seduto ad assaporare un tramonto arancio del nuovo inverno.
Chiuso nel silenzio più profondo della sua affascinante saggezza.
Esiliato in qualche storia.
Di tutti i tramonti del mondo, quello visto da un balcone del terzo piano alla periferia di una cittadina senza capo nè coda, non è certo il migliore.
Eppure era lì, perso in qualche sfumatura.
Come se in tutti quegli anni, lasciati sui solchi del suo viso e delle sue mani, non ne avesse potuti vedere di migliaia, di tramonti.
Migliaia. Di tramonti.
Forse li collezionava. Forse era impazzito. Forse aveva dimenticato tutti quei tramonti.
Forse.

Lei uscì in balcone. Silenzio. Si avvolse nello scialle e gli si mise vicino.
Lui baciò la sua mano di moglie, di madre, di nonna.
Si sorrisero.

Forse non ci si può abituare. Forse è impossibile non stupirsi più, dopo migliaia di tramonti, davanti all'arancio vivo di un cielo o alla presenza silenziosa di un amore.
Forse.

martedì 15 novembre 2011

Ora dei delta a più delta bi

Era così presa nel moto circolare.
Nell'ingranaggio dell'accellerazione centripeta.
Immersa nei vettori.
Così traumatizzata dalla caduta dei gravi che meditava come creare del vuoto e farci cadere una foglia e un sasso.
Centosessantuno pagine di fisica.
Vomitava pigreco e cinematica.
Era così immersa nelle formule e nei moti di cose che avrebbero potuto tranquillamente starsi ferme.
Che quasi si dimenticò di essere felice.

venerdì 11 novembre 2011

Ora dei mal di testa

La mattina ha un che di sacro.
Si fanno cose, si vedono persone, non si parla, la mattina, se non per monosillabi.
Ci si immerge nella propria quotidianità piano, in modo che non faccia troppo male.
Si cammina. Per inerzia.
Poi succedono cose piccole, la mattina. Cose piccole che in quel momento ti sconvolgono.
Insomma, la mattina passi nel parcheggio e alcune foglie del fico sono gialle.
Ma di un giallo vivo che sembrano dipinte,  lì accanto alle sorelle verde speranza. Sono lì che svolazzano come le altre. Perchè le foglie gialle uno se le aspetta mezze penzolanti in punto di morte. E invece no. Erano vive, gialle giallissime.
Tanto che uno poi la mattina così, si chiede, di punto in bianco
Se lo sanno, le foglie gialle, che stanno lì lì per morire.

lunedì 24 ottobre 2011

Ora degli oratori

Pioveva. Piove sempre quando si è tristi. O si è sempre tristi quando piove.
Probabilmente.
Non aveva l'ombrello. Piove sempre quando non si ha l'ombrello. O non si ha mai l'ombrello quando piove.
Probabilmente.
Si rifugiò tra quelle pareti.
Liberò i piedi, gelidi, e le gambe, e si avvolse nel plaid.
Andò in cucina, accese il bollitore,
aprì la credenza dei tè.
Non quello bianco, semplicità, non quello verde, determinazione, non quello alla vaniglia, dolcezza.
Ma quello nero, per sciogliere l'amarezza.
Tè nero.
Si sedette davanti alla finestra, davanti alla pioggia, al suo richiamo, al suo invito.
Pioggia che abbraccia e consola.
Non pianse. Lasciò che la pioggia lo facesse per lei.
Pioggia, come tè nero, che porta via l'amarezza.
Quante volte aveva lasciato che le sue amarezze scivolassero
via
con l'acqua sporca per le strade.
Quante volte aveva lasciato i suoi segreti alla pioggia. Alle sue lacrime.
Portò la tazza alle labbra-vuota.
Ne cercò ancora l'ultimo calore.
Un'ombra di tè nero.
Un'ombra di pioggia.
Un'ombra delle pareti interne della sua anima.

lunedì 17 ottobre 2011

Ora delle perpendicolari

Trovare la stabilità è semplice. Basta mettere in comune gli elettroni e rimanere attaccati.

domenica 9 ottobre 2011

Ora dei treni persi

Gli stivaletti sporchi e rovinati raggiunsero incerti lo sgabello. La gonna nera, lunga e stretta, non nascondeva quella sua magrezza, e il top rosa pallido le lasciava scoperto l'ombelico, e il ventre piatto. Anche il resto, il collo, il viso, lo sgardo, avevano quella tristezza e quella magrezza. Gli occhi - portava quel corpo senza conoscerne bellezza. Fissava le linee del legno per terra, con il volto all'ombra della lampadina sul soffitto.
-Io li odio. Odio quei loro sorrisi, finti, come la collana che le ha regalato a Natale. Tre euro. Aveva nascosto l'etichetta tra le robe sporche. Odio quel loro finto amore, finto interesse, finta dolcezza, come quando al cambio di stagione lei mi regala le robe smesse della Cate, quelle più brutte e rovinate, le migliori sono destinate all'orfanotrofio, per farsi gentile davanti alle amiche, finte, come tutto il resto. Odio la loro finta bella casa, che pulisco e conosco da cima a fondo, finta, inutile, come tutto il resto. L'unica cosa vera...-
Puntò gli occhi dritti in avanti, rabbiosi, guardò al di là del palco, tra la gente, tra i bicchieri di rhum. Sollevò la gonna e scoprì le gambe, scarne.
-L'unica cosa vera sono i miei lividi. E il silenzio. Quando lei parla di suo figlio, dice che è un bravo ragazzo, si dà tanto da fare, è così assennato. Assennato, ho scoperto cosa voglia dire. Dice che la riempie di orgoglio. E poi si allena, oh come si allena, sempre tra la palestra e i libri. Un metro e ottanta di uomo. Un metro e ottanta di schifo. Sanno tutti in casa cosa succede, quando siamo soli. Una volta ho lasciato una macchia di sangue in salone, visibile, sul pavimento scintillante. Silenzio. All'inizio. Poi peggio.-
Alza gli occhi sul soffitto, oltre, nel vuoto, o forse chissà dove. Di sicuro non erano più in quel vecchio bar.
-Scappare? sì, certo, per andare dove? Come vivere? ... Prima o poi andrò via. Prima o poi avrò una casa vera, anche se piccola, ma vera. Avrò un amore vero, amici veri, veri sorrisi. Dimenticherò lo schifo di questa vita. Prima o poi studierò. E farò veri regali, e riceverò vere attenzioni. Vera gentilezza. Prima o poi. Persino le collane, se pur di plastica, saranno vere. Prima o poi.

domenica 2 ottobre 2011

Ora delle foto sfuocate

Passerà tempo, e forse il mio ricordo scivolerà via dai tuoi pensieri, sbiadendo come l'intonaco esposto al sole, come Crono che ingurgita i suoi figli, Tempo crudele, salvifico per i passati da buttare via e distruttore di ciò che di bello c'è stato...e che continua ad esistere in noi, in quello che siamo diventate, o che diventeremo.
Passerà tempo, e rimarremo forse ricordi vaghi dal sapore dolce, di un tempo di cui avremo nostalgia, pur essendoci dimenticate il perchè. 
Perchè non ci si può sottrarre alla legge del tempo, lo sapevamo, lo sapevamo anche quando abbiamo deciso di volerci bene, nonostante ci fosse una scadenza, netta, nera.
Passerà tempo e ti mancherò sempre meno, fino a vivere in un angolo dei tuoi ricordi.
Sarò un'immagine, sarò parole, sarò sorrisi e pensieri, forse sarò una canzone, chissà. Perderò ogni essenza corporea. Fino a diventare quasi nulla. Quasi. Nulla.
Passerà tempo e ti dimenticherai, di quel nostro ultimo abbraccio, forte, con gli occhi velati, alla fermata del mio bus. 

domenica 25 settembre 2011

Ora dei poemi epici

Non potevo non accorgermi - erano i tuoi occhi - che mi stavi cercando. Mi lasciai trovare, un po' per curiosità, un po' per la mia natura avida di storie.
 Mi lasciai trovare pur sapendo che non ti sarei stata d'aiuto. Ascoltare gli altri è, alla fine, una cosa del tutto egoistica. Soprattutto quando sai che non puoi essere utile. Ma le storie, le parole, i segreti... come resistere?
Dicevo, mi lasciai trovare. Rallentammo il passo per distanziarci dagli altri e subito, tutta la mestizia nascosta dentro i tuoi occhi piccoli, si fece parola sottile.
Ondeggiavi magra nella tua gonna lunga e scura, mentre con un filo di voce srotolavi la tua storia.
Parlavi di vuotezza. Parlavi di sentirsi vivi. Parlavi di famiglia.
Ti ascoltavo in silenzio. Sapevo di essere inutile, vile, mendace.
Eppure colsi fino all'ultimo ogni tua parola. Quando mi chiedesti cosa pensassi -come mi affascinava la tua fiducia!- aspettai un attimo prima di risponderti.
Fui sincera, ammisi la mia piccolezza, la mia inutilità. Poi ti dissi,
Comincia a dipingere.
Un lampo ti attraversò gli occhi, come se davvero, ti avessi detto la cosa giusta.
Fui felice.
E vidi il lato non egoistico dell'ascoltare gli altri.

venerdì 16 settembre 2011

Ora dei lieviti

Smise di ciondolarsi sulla sedia e stabilì che avrebbe passato i due minuti seguenti decidendo come affrontare il problema. Si conosceva, sapeva bene quanto la sua mente fosse abile a trascurare con disinvoltura il problema e a passeggiare allegramente tra gli argomenti più disparati, come quella volta in cui aveva passato un'ora e mezza divagando sull'orologio della cucina, che le aveva fatto ricordare quel giorno in cui sua nonna...
Comunque. Doveva decidere come porsi davanti al problema. Poteva, come era solita, lamentarsi pesantemente fino a quando, dopo qualche ora, finite le forze, la vita tornava ad essere splendida ai suoi occhi. Ma questa volta no, non aveva neanche le forze di lamentarsi. Poteva distrarsi...no, non poteva distrarsi. Poteva provare con il Valium. Ma abbandonò quasi subito questa soluzione.
Avrebbe voluto tanto trovare la forza per lasciare che tutto le scivolasse addosso, ma ogni cosa che la sfiorava le permeava dentro e le appesantiva il cuore, ormai preso d'assedio dalla malinconia, dalla stanchezza, dalla sfiducia, dalla tristezza.
La soluzione limpida allora le balzò nella testa. Si sentiva già sollevata. Sapeva bene di cosa avesse bisogno. Sapeva bene quale fosse il miglior antidoto per il suo cuore nero avvelenato.
Tutto le sembrava già più chiaro.
Chiuse il libro di Fisica. Mandò a 'fanculo la sua vita.
Prese il quadernetto, la penna, afferrò la sacca.
E andò al mare.

sabato 10 settembre 2011

Ora delle tigelle

ACCATASTARE PIATTI NEL LAVANDINO.
Probabilmente il cielo grigio e il freddo sbiadiranno i colori delle tue labbra, che non potrò più sfiorare rosse con le dita. Probabilmente il vento gelido farà nascondere il tuo collo, che non potrò più intravedere a mio piacimento. Probabilmente camminare sotto un portico di alberi spogli nei nostri cappotti ci farà sembrare tristi.
SCIACQUARE.
Non saranno tante cose. Non avrò tempo. Non potrò allontanare dalla mente le scadenze, le persone che non ho voglia di vedere. Non potrò. Non avrò. Non sarò.
SPUGNA E DETERSIVO.
Probabilmente sto solo fasciando con cura la mia testa, prima di essermela rotta. Probabilmente ho così paura, così ribrezzo, così terrore di questo inverno, che non ci faccio caso, al cielo azzurro e al caldo estivo al di là del vetro. Probabilmente devo solo ricordarmi che ogni tanto si può scappare, così, scappare. Probabilmente dovrei cominciare ad abbandonare tutti questi pensieri catastrofici.
RISCIACQUARE.
Sicuramente ci sarà una soluzione. Sicuramente potrò scappare, ogni tanto. Sicuramente questo inverno non sarà così crudele. Sicuramente ci saranno tazze di cioccolata calda. E pantofole. E plaid. E abbracci.
Sicuramente l'inverno passerà. Ma nel frattempo noi lo aspettiamo sorridendo, per le vie di campagna.

mercoledì 7 settembre 2011

Ora degli straccetti

Come un bambino che ha impiegato una mattinata intera della sua giovane vita a costruire un castello di sabbia. Ha progettato tutto nei minimi particolari, ed ha rifatto venti volte il ponte sulla sinistra perchè il suo compagno di giochi si ostinava a poggiarci il suo bel popò sopra. Ha anche trovato dei bastoncini tutti uguali per il ponte levatoio. Ma ora è tutto finito, il grande capolavoro della sua vita è completo. Non sa se nei decenni che gli rimangono da vivere farà mai una cosa così bella. Si sente soddisfatto. Corre dalla mamma e comincia a tirarla per la gamba, Devi venire, DE-VI VE-NI-RE!!! Torna lì dal suo capolavoro e... un cumulo di sabbia bagnata. Oh porca miseria.
Più o meno così.
Anzi no. Non come un bambino deluso perchè il suo castello di sabbia è andato a farsi un bagno.
Come un adulto, che nonostante abbia visto sgretolarsi migliaia di castelli di sabbia, ne costruisce uno impiegando una mattinata della sua vita. E poi...un cumulo di sabbia bagnata.
Esattamente così.
Insoddisfazione.
La gallina che non riesce a fare l'uovo. La ciambella senza buco. La formica che torna e trova la sua reggia distrutta da un piede di bambino.
Oh porca miseria.
La soluzione?
Se hai forza di volontà da vendere, ti metti e ricominci. Altrimenti passi con me il resto del tempo a piangerti addosso. Poi passa. Poi occorre ricordarsi che non tutte le cose sono state create per farti del male. Perfino il mare che distrugge il tuo castello.
E allora l'insoddisfazione e il senso di fallimento annidato sul cuore di sbroglia e si scioglie.
 E crolla il velo nero davanti agli occhi che è capace di farti confondere una nuvola bianca per una nera, un ramo per una vipera, un amico per un ladro, un amore per un assassino.


lunedì 5 settembre 2011

Ora dei safari

Si liberò dei vestiti e cercò l'angolo tra la nuca e i capelli, e respirò a fondo.
Vino e cannella. Un'ombra di fumo. Sciolse i bottoni della sua camicia e sfiorò il suo petto, cercandone i segreti, mettendo la mano in ascolto sul cuore.
Sui loro corpi giocava la fioca luce di un faro e quella della luna, tra le fasce d'ombra delle colonne del portico.
...la schiena sulle fredde pietre lisce... un lungo bacio al sapore di vino e cannella...
...le mise le mani sui fianchi, li sentì estranei, diversi... non riconosceva l'odore del suo collo e le pieghe dei suoi sorrisi...
Lei aprì gli occhi e la vide, lì in piedi, immobile. Cercò gli occhi di lui. Lui, stretto in quell'abbraccio adesso così ingiusto, così insensato, insipido.
Non si era mai accorto di come fosse bella. Le guardò gli occhi castani, lucidi di dolore.

Vino e cannella bruciano nella bocca.
Frecce di ricordi tagliano la testa.
Perchè l'ossigeno non finisce adesso?
Vino e cannella
corrodono
le rose bianche
al sole di primavera.


lunedì 29 agosto 2011

Ora delle muse

Semplicemente niente da Dira.

(Ad un certo punto dovevano pur finire, queste parole!)
(Ma forse sono solo stanche)
(Poi ricominciano)

giovedì 25 agosto 2011

Ora dei bracciali di legno

Ombra delle rocce, stamattina. Il sole qui non ha ancora riscaldato la sabbia. Nascondo la parte interna del ginocchio.
Ancora non si è cicatrizzata bene. E' orrenda.
Non è molto tempo che ho imparato a conoscere e accettare il mio corpo, come donna. Non è troppo tempo che ho scoperto il dono lieve della femminilità, tra le mie curve imperfette, le smagliature, quel filo di cellulite.
Non ho mai aspirato alla perfezione, ma nessuno potrà mai ridarmi la pelle liscia e immacolata della parte interna del mio ginocchio.
Rabbia. Guardo la ferita e rabbia.
Si cicatrizzerà. Rimarrà un segno. Un ombra scura. Un fantasma.
I segni dei punti sotto l'ombelico non hanno importanza. Almeno loro hanno un perchè.
Si cicatrizzerà. Ma avrà sempre quel sapore amaro.
Vorrei che le tue carezze potessero guarirla per sempre.
No, non è possibile.
Capiscimi adesso, se mi bruciano gli occhi, quando tra i tuoi abbracci mi guardi e mi sussurri
Sei bellissima.

lunedì 25 luglio 2011

Ora degli infusi

Giro la testa di lato e ti vedo lì, a qualche metro di distanza, sull'altro letto, oltre la flebo.
Come se avessi sentito i miei occhi addosso, giri la testa anche tu, mi guardi. Cominci a parlare...le tue parole sono senza incanto, crude e nude come un animale morto al bordo della strada. Le tue parole si mischiano all'odio, al lamento, alla frustrazione.
Il tuo corpo. Perdere un seno per una donna è non avere più la forza di guardarsi allo specchio e sentirsi bellissima. Perdere un seno è perdere la consapevolezza della propria femminilità. Amazzone del destino.
Non hai fratelli o sorelle. Tua madre lavorava troppo e non aveva tempo per crescerti. E far nascere un fratello voleva dire sacrificare te e lui.
Ti sei sposata un po' avanti con l'età.
Non hai figli. Non mi spieghi perchè. Ma sicuramente non perchè non li hai voluti. Non lavori. Nè hai mai lavorato. Due settimane fa la scoperta. Tumore al seno. Bisogna operare subito. Travolta in una guerra che non hai voluto. Sei pallida e hai i capelli tutti attaccati sulla testa. Quando comincerai la chemio, li perderai. Rigiro la testa verso il soffitto, non reggo più i tuoi occhi stanchi. E faccio fatica a sentire fino all'ultima delle tue parole. Rimango in silenzio. Vorrei parlarti di cose come Determinazione di una donna, come Guerra che vale la pena di combattere fino all'ultimo, come Positività, Famiglia, Amore...Vita. Non lo faccio, rimango in silenzio. Perchè non posso dirti nulla che abbia davvero un senso, adesso. Cosa puoi aspettarti da me? Nient'altro che belle storie appartenenti ad un mondo che non ha nulla a che fare con questo qui. Non so nulla. Non dovevi parlarmi così, non sono pronta per questo. Non dovevi lasciarmi le tue storie addosso, non dovevi lasciarmele entrare dentro, insieme alla flebo che ora ho nel braccio. Perchè l'hai fatto? Non ho abbastanza forza per metabolizzarle. Tu, donna privata del suo essere donna, con una brutta ferita al posto di un seno, e mani e piedi e volto bianchi, e stanchezza sulla faccia e nelle parole. Io, poco più che bambina, cosa posso risponderti? Mi hai mostrato il tuo inferno, ho ascoltato le tue storie, e ora silenzio. Sento i tuoi occhi addosso. Mi chiedi
Il ragazzo che era qui ieri sera è il tuo fidanzato?

mercoledì 20 luglio 2011

Ora delle mele

Dita sporche di liquirizia.
Odore dolceamaro che sfiora le narici.
Il sapore delle cose lontane...
vorace come il desiderio,
sottile come la distanza,
forte come il mare.
Liquirizia.
Quel che ne rimane sull'orlo delle dita e dei pensieri.
Pensieri macchiati di nero. Pensieri macchiati di dolceamaro.
Lo stesso sapore del ritorno. Di questo ritorno.
Dita sporche di liquirizia nel vento freddo di un posto che nei pensieri avrà colori e sapori che sanno di felicità.
Liquirizia. Ancora un vago sapore sulle labbra.
Poi svanisce.

sabato 11 giugno 2011

Ora dei disegni

Raschia nella gola,
ma devi nutrirti,
oppure no,
ti piacerebbe rimanere immobile
troppo stanca perfino per muoverti
e ingerire qualcosa.
Ti piacerebbe che il tuo corpo si sgretolasse piano
mentre le lacrime
pesanti come piombo
trovano -almeno loro-
la forza di uscire allo scoperto.
Dove tieni stretta al petto
la tua solitudine
che sola ti è rimasta
tra le braccia.

venerdì 10 giugno 2011

Ora delle distanze

Illuditi che la frenesia
possa portar via
le cose che hai nascosto
credendo di buttarle via




giovedì 2 giugno 2011

Ora delle stelline

Mi allontanai dal mondo e mi andai a sedere sulla spiaggia. Quella notte. Mi tolsi le scarpe e mi sedetti lì, davanti al mare e alla luna. Venisti e ti sedesti al mio fianco. Poggiasti la bottiglia sulla sabbia e mi guardasti, lì seduta sulla sabbia, quella notte, con il vestito blu che scendeva sulle cosce e lasciava scoperte le gambe, a contatto con la sabbia fredda.
Nessuna domanda. Stavamo lì, davanti a quella brodaglia scura del mare, la notte, quando nasconde ogni verità e diventa nulla - nulla- e il suono delle onde diventa più silenzioso ma riempie le orecchie più del mattino. E non capisci da dove porti tutta questa malinconia, da quale angolo remoto del mare provenga questa triste follia che ti chiama. Continua a chiamarti e a raccontarti storie - e poi- tra tutte quelle storie, rimane solo la tua.
Fissavamo il mare lì nel suo punto più profondo, nel nero denso della notte, e le voci e i suoni lontani. Ti sedesti al mio fianco il silenzio.
E cominciai a raccontarti la mia malinconia, e tutto quello che portavo addosso.
Era colpa del mare - non so se, o caro sconosciuto, potevi capirlo- ma era tutta colpa del mare, non ci posso fare nulla, è come un'intesa intima, eppure tremenda.
Ricordo le mie parole a stento, ma ricordo bene la tua voce, e la tua, di malinconia, e tutto quello che portavi addosso.
Era una cosa folle. Due che si siedono davanti al mare, una notte, e piangono insieme le proprie vite.
Decidemmo tacitamente che quei momenti finivano nell'oblio nel momento stesso in cui lasciavamo che nascessero. E così fu.
Una cosa folle. Due che si siedono davanti al mare, una notte, e piangono insieme le proprie vite.

domenica 29 maggio 2011

Ora dei castelli

Lasciò che il sole scendesse giù e lasciasse il tutto avvolto nella luce bluastra che precede il buio. Spense la sigaretta e rientrò dentro casa, mise un vecchio cd di Gram Parsons e si infilò sotto la doccia, sperando che tutta l'amarezza potesse scivolargli via. Aveva calcolato tutto, il tempo di finire la doccia e avrebbe fatto giusto in tempo a togliere il cd, prima che arrivasse quella canzone che non aveva voglia di ascoltare. Non ne era immune. E ne era cosciente.
Ma l'acqua aveva portato via i suoi pensieri e appena mise un piede fuori sul tappeto, eccola.
Rimase l' immobile, nudo e grondante d'acqua, e cominciò a piangere. E quelle note tanto temute scivolavano via e lo abbracciavano, lo prendevano piano prima da dietro la schiena. Non credeva di piangere. Eppure eccolo là, diceva lo specchio, un fallito che piange nudo sul tappeto, non appena sente Love Hurts.

martedì 24 maggio 2011

Ora degli uffa

Io non vorrei essere così acida, a volte. E' solo che capita, lo giuro, non è colpa mia.
E poi ti ritrovi ad aver mandato male le persone senza neanche accorgertene.
E non mi piace. Non mi piace per niente.

lunedì 16 maggio 2011

Ora dei cappelli del pensiero

Mi piace quando le persone che mi conoscono poco si fidano di me.

Mi piacciono anche le persone che non mi hanno mai visto prima, e mi parlano come se ci conoscessimo da sempre.

Mi piacciono le persone con gli occhi buoni.

Mi piacciono le persone che quando spiegano una cosa, lo fanno perchè è una bella cosa spiegare a qualcuno qualcosa che non sa, come un dono. E mi piace anche quando le persone capiscono che se spiego una cosa non è per dimostrare il mio (oltretutto basso) grado di erudizione.

Mi piacciono quelli che quando mi salutano mi chiamano per nome (la maggior parte lo omette).

Mi piace quando le persone mi chiedono un parere, perchè gli interessa la risposta.

Mi piace quando le persone mi dicono una cosa su di me, e rimango sempre sorpresa, come se stessero parlando di un'altra.

Mi piacciono le persone che al telefono dicono prima Buongiorno\sera e poi si presentano, e poi tutto il resto.

Mi piacciono le persone quando abbracciano altre persone.

Mi piace quando le persone parlano dei propri sogni, e lo fanno con entusiasmo.

Mi piace quando le persone mi chiamano con un soprannome coniato al momento.

Mi piacciono le persone che mi dicono Non preoccuparti.

Mi piacciono le persone che, se ti vedono piangere, non ti chiedono perchè.

Mi piace quando le persone ammettono le loro più inutili fissazioni.

E mi piacciono le persone che ci tengono a certe cose belle, come la sincerità, la vita, il sorriso, il gelato, l'amicizia.

[To be continued]

domenica 8 maggio 2011

Ora dei migliori amici

A me piace quando, durante l'assolo di batteria, il mondo rimane sospeso.

giovedì 5 maggio 2011

Ora dei bravissima

[Breve respiro in un periodo così confuso, in un Maggio che non vuole fare il Maggio e si ostina ad essere un Marzo freddo e non troppo felice]

Succede che nel disordine ordinario di questo posto qui dove vivo, ci sia una tua maglietta. Che -è evidente- si distingue dalle altre cose, come se lei sapesse, di non fare parte di questo posto, di non poter far parte del disordine. Le altre cose in disordine se ne stanno lì sullo sfondo. Lei no. Si distingue dal disordine, come un giocatore in trasferta nello spogliatoio della squadra a casa.

L'ho presa. E mi è piaciuto da morire sentirci il tuo odore.
Mi è piaciuto svegliarmi la mattina e trovarla lì, e rubarle un po' del tuo odore.
Mi è piaciuto lasciarla in disordine con le altre cose, senza riuscire mai a metterla in disordine con le altre cose.
Ho sentito il tuo odore affievolirsi pian piano e lei adattarsi al resto. Abituarsi ad essere lasciata tra le altre cose sul letto, e poi essere spostata la sera sulla scrivania. Abituarsi a conoscere le altre cose, il pigiama arrotolato spesso al suo fianco, i fogli sparsi ovunque, le sciarpe, le borse, avrà visto la luce posarsi su dei lei al mattino, e i miei capelli spettinati.

Fino a quando, l'ho presa e l'ho piegata con cura. Ed il tuo odore era sparito. L'ho messa in borsa l'ho riportata da te. Senza più il tuo odore.
E tu l'hai presa tra le mani.

E hai avvicinato il naso. Mi hai sorriso.
E l'hai portata con te.

mercoledì 20 aprile 2011

Ora dei body builder

Sono un pittore.
Quando la gente mi chiede cosa io faccia nel mondo, rispondo
Sono un pittore.
E' vero, io dipingo le cose. Le persone. Sì, anche gli animali.

Poi ti ho vista.
E come un pittore la prima cosa che ho fatto è dipingerti. Fermarti per sempre viva in una tela.
Le tue caviglie sottili e le gambe.
Ho dipinto il tuo ventre e il tuo seno.
Ho dipinto il tuo sguardo e le tue labbra rosse
dischiuse, come se stessi per parlare.
Come se stessi per parlarmi. Per sempre.

Eri lì perfetta,
sei qui perfetta.
rimarrai perfetta.
Ma in un mondo alieno.
Vorrei essere carta solo per amarti così.
In un mondo alieno.
Vorrei essere carta per vedere le tue labbra dischiuse per parlarmi. Per sempre. Per davvero.
Vorrei essere carta
ma la carne mi tocca
e tu non sei per me
se non in un mondo alieno.

giovedì 14 aprile 2011

Ora dei boschi

La verità è che anche se te lo chiedono milioni di volte al giorno, non gliene frega a nessuno di sapere come stai. Ma va bene comunque, solo il fatto che qualcuno voglia usare qualche scusa inutile per parlare con te, va bene comunque.
La verità è che poi vogliono sapere le cose. Quando delle cose non gliene frega niente. Vogliono sapere che cosa ti andrebbe, così, per dire. E di cosa ti andrebbe, non gliene frega nulla a nessuno, questa è la verità.
Ma va bene comunque, nessuno può avere alcuna pretesa e va bene, va bene comunque.
La verità è che non gliene frega minimamente a nessuno che cosa fai, che cosa hai mangiato a pranzo, che cosa hai fatto stamattina. E va bene comunque, son cose che si dicono per conversare, e va bene, va bene comunque, lo si fa tutti e basta.
Però una volta, una volta nella vita, sarebbe bello che qualcuno chiedesse Come stai, e volesse veramente saperlo. Sarebbe bello che qualcuno avesse la voglia di chiederti Cosa ti andrebbe di fare, solo per il desiderio di esaudire una tua pretesa, per quanto stupida che sia, non importa, solo per il desiderio di fare una cosa per te.
Sarebbe bello, che la verità a volte non fosse poi così tanto vera. Perchè la verità è che a volte no, non va bene comunque.

sabato 9 aprile 2011

Ora dei racconti

I piccoli sandali di legno fecero un rumore sordo all'avvicinarsi allo sgabello. Bassina, con la sua gonna blu fino alle caviglie e una camicia rosa. Sul volto tante rughe quanti i suoi anni, e gli occhi - umidi- sembrava piangesse. Ma non piangeva.
Con fatica si sedette sullo sgabello e alzò la testa, mostrando al mondo i suoi occhi scuri velati.
La voce pungente, precisa, squillante.
-Certo che me lo ricordo. Sono passati cinquant'anni e me lo ricordo. Me lo ricordo bene. Vivevamo ancora nella nostra prima casa, quella con il pavimento in cotto. Le bambine erano piccole. L'ultima appena nata. Tu uscivi tutte le sere con un tuo amico. A me andava bene, così avevo il tempo per mettere a posto e occuparmi delle bambine. Ero io la madre. Era compito mio. Avevo perso la bellezza, lo vedevo, tre gravidanze e il mio corpo non era più liscio e sodo come prima. Però stavo bene. Era giusto così. A me andava bene. Poi una sera. Risposi al telefono. La maggiore delle bambine giocava con i legnetti, e avevo la più piccola tra le braccia. Tu non c'eri, come ogni sera. Risposi al telefono. Quel tuo amico. Gli dissi che non c'eri e lui mi disse No signora, è lei che cerco, posso parlarle un momento?, Mi dica, risposi, e lui Se le posso dare un consiglio, guardi bene suo marito.
Rimasi immobile, salutai cordialmente e riattaccai. Misi le bambine a letto, misi in ordine la casa, sciolsi i capelli e mi misi in vestaglia. Quella bianca del corredo. Uscii in veranda e accesi una delle tue sigarette. Ero da sola, e piansi. Piansi. Piansi perchè non potevo fare nulla. Piansi perchè lasciarti non era possibile. Non poteva esserlo. Piansi perchè tu magari eri tra le cosce di un'altra. E io non potevo parlare. Piansi perchè dovevo crescere le bambine nella tua casa. Lo feci. Anno, dopo anno, silenzio dopo silenzio. Mi faceva schifo fare l'amore con te. Eppure. Lo facevo per la cosa più bella che la vita mi abbia dato- le mie figlie. Quando tutte e tre se ne andarono di casa.Un giorno ti diedi quel sonnifero. E presi il coltello. E quando ti svegliasti- non potesti picchiarmi. Perchè io non c'ero. E neanche il tuo pisello."

lunedì 4 aprile 2011

Ora dei bonsai

Dicono che uno per stare bene con se stesso, deve star bene con se stesso. E i suoi limiti, e i suoi difetti, e questo e quest'altro.
Però io non sono come vorrei, e a volte me ne rammarico profondamente.
Io non so disegnare. Prendo la matita e nulla, omini stecchi, paperelle. Non provate a dirmi Saprai fare altre cose, perchè io quello che voglio, a volte, è solo saper disegnare. E' quello che mi servirebbe e basta.
Dietro di loro un fascio di luce arancio del primo tramonto stupefacente della stagione. Quando nell'aria c'è la magia della primavera. Niente più vento gelido. Niente più labbra screpolate e mani congelate. L'aria che si fa più fresca la sera, e riporta il vento che riempie l'aria di storie, di voglie improvvise, di sapori, di ricordi dolci come ciliege.
Loro. Nei loro corpi vecchi, che avanzano lentamente nel pomeriggio. Loro, con i loro due bastoni simmetrici, l'uno con la destra, l'altra con la sinistra. Lei curva e bassina nel suo passo incerto, lei dietro gli occhiali spessi e i capelli bianchi. Lui che guarda un po' perso il cielo e avanza lento con il suo bastone.
E le loro mani intrecciate. L'una dentro l'altra. Le loro mani che tengono insieme il mondo con la loro forza. Le loro mani che tengono insieme la vita, la speranza, l'amore, nonostante tutto.
Le loro mani- la cosa più semplice del mondo. La cosa più bella del mondo.
Che ti fan venire la voglia di innamorarti. Così, una cosa semplice, in un pomeriggio della prima primavera,puf, innamorarti. Ancora.
Avrei voluto disegnarli. Nel loro silenzio. Con la matita segnare le loro ombre. Le linee intrecciate delle mani. La curva delle schiene. Avrei voluto incidere il loro silenzio e la loro bellezza. L'emozione che si prova nel vederli, davanti, che camminano lenti. Avrei voluto disegnare i loro corpi, avrei voluto dire al mondo Fermati e guardali.
Ma non so disegnare. E me ne rammarico tremendamente.
Non so disegnare. Vorrei, ma nulla, non è per me. Peccato. Sarebbe stato bello. Poi far vedere il disegno. E chiedere,
Cavolo, non ti fan venire la voglia di innamorarti?

giovedì 31 marzo 2011

Ora delle malattie

Lei era quella che tutte volevano essere. Era come il vento, imprendibile. Libera. Da tutto e tutti. Bastava guardarla da lontano e lo vedevi, da come portava il suo corpo, fiera.
Non era di nessuno. Non voleva essere di nessuno.
Come il vento. Aveva trovato la soluzione alla vita.
Correre.
Scivolava tra le sofferenze della vita con la stessa sinuosità con la quale scivolava tra le pieghe delle lenzuola, nuda, la notte.
Non le importava. Di nulla.
E in questo stava la sua bellezza invidiabile.
Perchè lei era libera da ogni maniacale ossessione. Libera dalla tristezza cronica dell'anima.
Sembrava libera da ogni sofferenza, libera da tutto,
persino dalla morte.

martedì 22 marzo 2011

Ora delle bomboniere

Salì sullo sgabello e scoprì il suo volto allo specchio. Un metro di bambina dai capelli rossi. Sei anni. Si sistemò una fascia blu che teneva i lunghi capelli rossi lontano dagli occhi castani.
Era bellissima. Ma questo non lo sapeva ancora. Prese lo zaino, quasi più grande di lei e disse alla mamma di fare in fretta, oggi piove.
La donna bassina prese il giaccone grigio, troppo grande, e l'ombrello, e la manina bianca.
Come ogni mattina, passo dopo passo in silenzio percorrevano la loro strada, con i loro tempi, con le rughe e le occhiaie dell'una, e la vita e la bellezza dell'altra.
Era davvero bellissima. E anche il quella giornata grigia, di quelle giornate grigie in cui nulla può essere colorato, ma solo grigio, lei era bellissima. Ma questo non lo sapeva ancora.
E portava quella bellezza come se fosse la cosa più naturale del mondo. Senza accorgersene, la portava con se, assieme al suo eterno equilibrio di bambina.
Che solo a guardarla, ogni mattina, bellissima e serena, non puoi non fare a meno di sperare che resti così per sempre.

domenica 13 marzo 2011

Ora delle merende

Giorni come ritorni del passato, che in punta di piedi sale le scale, di nuovo come tanto tempo fa.
Ti sarai svegliata di buon mattino, e sorridendo sarai arrivata fino alla cucina. La casa vuota. La voglia di vivere questa giornata. Avrai preso i biscotti dalla credenza e riscaldato il latte. Avrai fatto le briciole sul tavolo con il pane e la marmellata, e avrai pensato che la prossima volta ci metterai un po' meno zucchero. Accesa la radio avrai cantato.Avrai messo sul tavolo latte burro farina uova cacao un cucchiaio di pentimento ed un cartone di scuse a lunga conservazione. Solo alla fine, prima di infornare il tegame, avrai aggiunto l'ingrediente segreto che rende ogni cosa meravigliosa. Non avrai lasciato il letto disfatto, e quando farai per mettere a posto il cuscino ti sarai guardata allo specchio. Le dolci curve e la pelle leggermente invecchiata, i seni abbandonati sotto la vestaglia e le lunghe gambe sottili di cui ti sei sempre vantata, la vita che ancora una volta hai ripreso tra le mani, con la forza sovrumana di una donna che nulla potrà mai distruggere. Avrai preso il cofanetto dalla mensola e avrai tirato fuori la collana di corallo e gli orecchini. Avrai lasciato la casa perfettamente ordinata e ti sarai immersa nel sole della Domenica. Passo dopo passo avrai fatto la salita, salutando prima la moglie del custode della Pretura, poi il salumiere e quella donna che ti sta guardando da un po'. Auguri a tutti Buonagiornata. Poi salirai le scale, e arriverai fin qui con un po' di affanno, lamentandoti che qui non c'è un ascensore, e che il tuo vecchio ginocchio non ricordava tutti questi gradini. Ti aspetteremo sulla porta, e ci abbraccerai, uno dopo l'altro. E quando mi stringerai forte gli occhi ti si faranno lucidi, ma non piangerai perchè ti sei truccata con cura.
Giorni come ritorni di un passato che ti aveva lasciato poco più che bambina. Giorni come ritorni che portano il sapore della parola famiglia. Un sapore pastello. E la sacralità di una crostata che per ognuno ha un sapore diverso. Quello di una madre persa e ritrovata, quello del mio compleanno, quello del cioccolato un po' amaro.
Giorni come ritorni a casa, dove c'è chi ti accoglie a braccia aperte e ti chiede com'è venuto il ragù. Dove c'è chi ti perdona e ti chiama di nuovo Mamma, dove c'è chi ti lascerà fare una piccola confessione, seduta sul letto di una stanzetta troppo piccola...
Mi abbracci. Mi sei mancata. Mi sei mancata anche tu. Tanto.

sabato 5 marzo 2011

Ora dei mutual friends

Would you like to be my hideaway?
Sì, ti piacerebbe essere il mio rifugio segreto?
Un luogo dove non si urla mai. Un luogo dove prendersi una pausa dal resto ed essere felici.
Un luogo pieno di tappeti.
E cuscini. E bajours. Sì, le bajours.
Ti piacerebbe essere il mio rifugio segreto?
Un luogo dove si può sempre dire la verità. Dove essere invisibili. Dove bere caffè e mangiare ciambelle.
Dove poter stare accoccolati sul divano, ogni volta che ne sentiamo il bisogno.
Un luogo dove imparare a conoscere i propri silenzi.
Un posto dove non avere neanche due calzini uguali.
Ed un posto pieno di storie, e di musica.
Un luogo dove si cucinano i biscotti. (No, non io. Lo sai che non mi piace cucinare)
Ed un luogo dove poter vedere la luna ogni sera, quando decide di deliziarci.
Solo questo, quello che volevo che tu sapessi.

ma ora dimmi, ti piacerebbe essere il mio rifugio segreto?

venerdì 25 febbraio 2011

Ora dei vetri

Una volta il vento piangeva sempre. Che poi piangere non è neanche una cosa brutta, perchè il vento che piange piange e basta, senza nessun rumore. Una volta il vento non faceva nient'altro che piangere, per un dolore lieve, che non merita disperazione. Ma silenziose lacrime insipide, che non portano storie e sentimenti, ma dalla consistenza particolare, che porta in se pezzi di felicità abortiti.

Una volta il vento piangeva sempre, perchè non sapeva fare nient'altro. Per la solitudine. Per il terrore di essere inutile. Per l'angoscia di non essere più amato. Per paura di essere ingombrante.

Una volta il vento piangeva sempre, poi ha cominciato a correre. E da allora non si è fermato, e da allora non ha pianto più.

giovedì 24 febbraio 2011

Ora dei rifugi

[Ritorno a scarabocchiare dopo un periodo di silenzio\studio\tendinite alla mano destra. Ma, rieccomi qui. Con qualche storia di arretrato. E qualcuna andata persa per la mano che non poteva lasciarla al mondo. Non immaginate la frustrazione di non potermene liberare, delle storie in testa, alcune sere. Ma tutto è passato. E sono finalmente di nuovo qui.]

Per dare una forma ai pensieri- i ciottoli sulla riva del mare in inverno.
Per dare una forma ai pensieri- le assi di legno delle barche nel porto.
Per dare colore ai pensieri- l'azzurro della linea azzurra nell'infinito.

Avevo bisogno. Del mare.
Avevo bisogno di un appiglio di serenità nel caos, che tutto prende, fuorchè il mare.
Il mare è una cosa, vedi, che tu proprio non puoi non amare.
Non puoi non avere bisogno del mare, così come uno che ama, non può non aver bisogno.
Respirare l'aria pungente, lasciare che il vento ti avvolga e immergere gli occhi - un attimo dopo averli lasciari scorrere sul pelo dell'acqua.
Lasciare i pensieri lì dove non c'è tempo, nè forse, nè caos.
Lì dove la tua vita ti cade di dosso.
E non puoi fare nient'altro,
in inverno, davanti al mare,
nel vento freddo e in un sole assente,
che lasciare che il mare
ti entri dentro
di nuovo
e riscoprire ancora quell'eterno
amore.

venerdì 4 febbraio 2011

Ora dei Sunday kind of love

Arrivò a casa e si sfilò le alte scarpe a punta, si sciolse i capelli e si stese sul divano con un bicchiere di brandy.
Ella Fitzgerald cantava It's a pity to say goodnight e lei, lì distesa ad occhi chiusi sul divano, la accompagnava con un leggero movimento dei fluenti capelli vaporosi e profumati. La notte e la sua solitudine scivolavano leggere su di lei.
Cominciò a muoversi piano, a ballare silenziosamente e dolcemente, con ancora il bicchiere nella mano destra e li occhi chiusi.
E finì davanti alla finestra spalancata nella notte fredda e silenziosa, e la canzone finì, con un interminabile
Give me a goodnight kiss.

giovedì 3 febbraio 2011

Ora dei non puoi vedermi

L'altra sera, andò da lui, perchè era così che faceva quando era distrutta, andava da lui.
Si mise in punta di piedi e lo abbracciò forte, poggiandosi su quel po' di pancia tra le sue grandi braccia da orso. Lo stupì, e lui le sorrise, e non fece domande.
Lei sapeva che non le avrebbe fatte. Ed era anche per questo che era lì.
Lo strinse più forte sentendosi minuscola, ma protetta, a casa, accolta.
-Posso piangere un po'?
-Sì.
Le rispose. E le lacrime non esitarono. Cadevano silenziose sulle grandi spalle. Non parlò, consapevole del male che facevano le sue lacrime e il suo silenzio su di lui. Ma non c'erano parole. Per un attimo le aveva pure cercate, ma aveva smesso quando aveva capito che in realtà non c'era un motivo per cui stava piangendo. O forse ce n'erano troppi. E troppo stupidi per essere capiti.
Ma lei era lì, e piangeva tra le sue braccia forti. Piangeva perchè ne aveva voglia. Perchè è una cosa da pazzi, piangere senza un motivo, un motivo ci deve essere, e invece no, lei piangeva, perchè la tristezza l'aveva colta di sorpresa. Ecco, era una malattia, la tristezza.
Un attimo prima di staccarsi, dopo il senso di colpa atroce per avergli dato una sofferenza tale, disse
-Guarirò.
e poi andò via.

lunedì 31 gennaio 2011

Ora dei veli

E' un periodo vuoto di parole. E nella mia testa, sola, c'è questa. E poi basta.

mercoledì 26 gennaio 2011

Ora delle Ore

Avevo voglia di vederti. E basta.

venerdì 21 gennaio 2011

Ora dei nonsaifareniente

Ti sei addormentato sul divano, un po' rannicchiato per far stare sotto la coperta anche me, che ora durante la pubblicità guardo la tua serenità.
Non posso svegliarti, non voglio farlo, non lo farò.
Ti lascerò addormentato sul divano, perchè sei bellissimo, addormentato sul divano.
Poi mi avvicinerò al tuo orecchio e ti sussurrerò
Buonanotte
e tu farai una smorfia senza neanche aprire gli occhi e ricrollerai tra le braccia di Hypnos.
Ti voglio bene
aggiungo con un po' di soddisfazione, sapendo di non avere la tua attenzione, sapendo che magari farai un'altra smorfia e poi ti lascerò dormire in pace, ma stasera mi va così, di dirti una cosa così, come i bambini.
Ti sei addormentato sul divano, ed è lì che ti lascerò e andrò via, verso il corridoio, quando un sussurro mi fermerà per dirmi
Anch'io.

lunedì 17 gennaio 2011

Ora dei nucleoli

Perchè poi, in quei dieci minuti della giornata in cui lasci riaffiorare tutto ciò che non deve, perchè in questo modo le verità un po' più scomode hanno la loro considerazione e non rischiano di farti scoppiare... Perchè in quei minuti, amari ma non troppo, ti accorgi di essere incapace.
Incapace di parlare.
Incapace di lasciar correrti le cose addosso.
Incapace alla costanza nelle cose.
Incapace di negarti di essere acida troppo spesso.
Incapace di prendere la strada più difficile e scegliere sempre quella più comoda.
Incapace di imparare una lezione e farne realmente tesoro.
Incapace di fare i passi avanti sperati.
Incapace di essere dolce, solo per il gusto di sprofondare nel banale, solo perchè ne hai voglia, di dire una cosa bella.
Incapace di smetterla con i complessi e cominciare con la vita seria.
Incapace di nutrirmi con ciò che mi è stato regalato, ed è veramente tanto, e io sono tanto fortunata.
Incapace di trovare un equilibrio meno instabile, con tutto che, l'ho detto, sono stata tanto fortunata.
Incapace di migliorare.
Incapace di essere realmente utile.
Incapace di smetterla di fare di un po' di tristezza un problema esistenziale.
E questo è quanto.

martedì 11 gennaio 2011

Ora delle belle giornate

I piedi nudi, dalla carne chiara, facevano scricchiolare il legno, prima fermarsi a qualche passo dallo sgabello. Aveva solo un vestito sudicio bianco, addosso, dal quale spuntavano le braccia e le gambe, ossute, il collo ed il viso. I capelli bruni scompigliati erano l'unica nota di colore, assieme alle labbra, rosee, accavallate in un morso. Gli occhi sbarrati, anche loro un po' spenti, come il colore della sua carne. Si accasciò a terra.
-Era buio e tu mi baciavi. Mi baciavi ovunque. Ogni tuo bacio bruciava sulla pelle. Mentre questo corpo riprendeva vita, tra le tue braccia. Mi sussurravi che non mi avresti lasciata mai, che da quel momento in poi non avrei più sofferto, non l'avresti permesso. Era buio e ti baciavo. Ti baciavo ovunque. Ogni mio bacio ti diceva che ti amavo. Troppo.
Le mani strisciavano sul legno.
-Figlio di puttana. Ti ho visto avvinghiato a lei. Ti ho visto accarezzarle il ventre rigonfio. Ho visto tuo figlio.
Urlava.
-Avrei voluto morire allora, tra le tue braccia. E non farlo lentamente adesso... La malattia mi mangia. Ma è nulla in confronto al dolore della solitudine. Sputo sulla pietà della gente. E adesso che sto morendo, sento i tuoi baci, ancora, bruciarmi addosso.

domenica 9 gennaio 2011

Ora dei ricci vulnerabili

Aria.
Mi tramuterei in aria.
E me ne starei in un angolo del mondo, ad osservarlo, senza farmi mai male.
Senza che da nessun taglio fuoriuscisse sangue.
Quando sarò stanca di aspettare, aria volerei, senza farmi male.
Senza ogni passo trasportami dietro tutta me stessa.
Ti verrei a cercare,
perchè anche se aria,
libera,
io ti verrei a cercare,
ti passerei le dita tra i capelli,
sfiorerei le tue labbra,
e aria volerei via.
E sempre ti lascerei consapevole di poterti ritrovare.
Non sarei felice.
Perchè la libertà sarebbe una prigione,
e nulla sarebbe più casa e conforto.
Ma almeno, niente sangue niente ferite
nessun maledetto ricordo,
se non la scia lontana che si dissolve,
un attimo dietro il mio passaggio.

domenica 2 gennaio 2011

Ora dei Bobert

Mi metto un po' più comoda sopra il tuo cuore,
mi abbracci,
mi abbracci un po' più forte,
credo tu mi stia stritolando,
poi mi riempi di baci,
e con non-chalance mi fai il solletico,
giocherelli un po' con le mie mani,
e ti diverti a mettermi le dita nelle orecchie,
a spettinarmi,
e poi di nuovo a stringermi.
Ebbene sì, sono un peluche.