mercoledì 23 maggio 2012

Ora delle barche di carta

Arriva un certo punto del pomeriggio, in cui le rondini impazziscono e volano basse.
E ogni pomeriggio, il gatto si prende la briga di salire sul cassonetto, solo per guardarle. Le segue tutte muovendo solo il collo. Forse sa già di non riuscire a prenderle in ogni caso. 
E allora lo vedi lì che passa il suo tempo girando la testa in alto seguendo le rondini, seduto sul cassonetto. 
E mi viene di pensare che se uno ha il tempo da perdere ogni giorno con la testa in alto a seguire le rondini, beh, uno fa proprio una bella vita. 

sabato 12 maggio 2012

Ora del gelato alla liquirizia

Non sapeva dell'esistenza di quel posto. Fu lo zio, quella mattina, a dargli quella chiave e dirgli che, se gli andava di starsene un po' da solo, poteva andare lì. 
E in effetti lui, quel pomeriggio, ci andò. Ora, davvero si sarebbe aspettato di tutto, lì dentro. Ma mai -mai-  una donna.  Seduta per terra con la schiena al muro, aveva un abito da sera rosso e delle scarpe col tacco, i capelli raccolti ed il volto truccato. Lui le avrebbe dato quarant'anni, ma ai giovani gli adulti sembrano sempre un po' più grandi di quello che sono. Neanche lei, a dir la verità, si sarebbe aspettata mai -mai- di veder entrare un ragazzo, lì. Lei gli avrebbe dato non più di diciotto anni, ma non si è mai certi in quell'età lì, per la storia dello sviluppo che non avviene sempre nello stesso momento e cose così. 
Si sedette per terra anche lui, con la schiena sul muro, di fronte a lei. Cioè, non proprio di fronte, per darle la possibilità di guardare dritto nel vuoto senza per forza averlo davanti. Era una cosa sensata. 

Vagarono con gli occhi per la stanza, poggiandosi su tutto e su niente. Evitandosi, come se fossero entrambi soli. 
Poi abbandonarono la paura di essere invadenti e presero a guardarsi. La prima cosa che gli occhi di lei cercarono, furono le sue mani. Poi il resto, piano, senza fretta. Arrivarono agli occhi. 
Rimasero così, a guardarsi, per un tempo che nessuno sa. 
Negli occhi. 

Lei, poi, scoppiò in lacrime. Piangeva in un modo che chiunque l'avesse vista, si sarebbe sentito inutile. Lui rimase immobile, non poteva esserci gesto o parola, valido, sensato. 
Era come se non piangesse da anni. 
Come se non avesse mai -mai- pianto. 
Come se nessuno avrebbe mai potuto consolarla. Lui non aveva mai visto una donna piangere in quel modo. 
Faceva troppo male. Chiunque l'avesse vista, avrebbe sofferto un po'. 
Piangeva di rabbia, ora. Si slacciò le scarpe alte, avevano lasciato un segno sulle caviglie. 
Bisogna immaginarselo fatto con rabbia. Poi si liberò dell'abito da sera. Si slegò i capelli e tolse gli orecchini. In un cassetto trovò una maglia di cotone lunga, maschile. La indossò e sembrava quasi più bella, pensò lui. 
Tornò a sedersi, e piano smise di piangere. Le ultime lacrime sgorgavano lente, non era più rabbia, quella era solo malinconia. Lui pensò che faceva male quasi più di prima. 

Smise di piangere. Esausta. Si sistemò sul pavimento, e nell'ultimo rosso raggio di sole dalla finestra, si addormentò. 

venerdì 4 maggio 2012

Ora del paracetamolo

Aveva un vestito di cotone celeste, e dei capelli neri al vento che le scoprivano a tratti il collo e le spalle. La vecchia la vide seduta sul muretto davanti alla sua casa, davanti a lei una distesa di scogli, e poi il mare. C'era quella luce bluastra che lascia il sole tramontato da poco, ombra, non buio. Quella luce strana, del pomeriggio che non decide a diventare sera una volta per tutte e lascia il mondo sospeso indeciso se accendere la luce o meno. La vecchia andò in cucina e prese un bicchiere di latte tiepido. Le si avvicinò senza dire niente. Lei continuò a guardare fisso il mare. Nessuna parola.  Evitarono gli sguardi sospetti e le parole inutili, forse perché i giovani e i vecchi le evitano, le parole inutili che si scambiano gli sconosciuti. La vecchia le porse il bicchiere di latte. Con una voce sottile, piano, di chi sa esattamente ciò che vuole dire, prima di rientrare in casa, disse Il mare, a quest'ora, fa male.