domenica 25 settembre 2011

Ora dei poemi epici

Non potevo non accorgermi - erano i tuoi occhi - che mi stavi cercando. Mi lasciai trovare, un po' per curiosità, un po' per la mia natura avida di storie.
 Mi lasciai trovare pur sapendo che non ti sarei stata d'aiuto. Ascoltare gli altri è, alla fine, una cosa del tutto egoistica. Soprattutto quando sai che non puoi essere utile. Ma le storie, le parole, i segreti... come resistere?
Dicevo, mi lasciai trovare. Rallentammo il passo per distanziarci dagli altri e subito, tutta la mestizia nascosta dentro i tuoi occhi piccoli, si fece parola sottile.
Ondeggiavi magra nella tua gonna lunga e scura, mentre con un filo di voce srotolavi la tua storia.
Parlavi di vuotezza. Parlavi di sentirsi vivi. Parlavi di famiglia.
Ti ascoltavo in silenzio. Sapevo di essere inutile, vile, mendace.
Eppure colsi fino all'ultimo ogni tua parola. Quando mi chiedesti cosa pensassi -come mi affascinava la tua fiducia!- aspettai un attimo prima di risponderti.
Fui sincera, ammisi la mia piccolezza, la mia inutilità. Poi ti dissi,
Comincia a dipingere.
Un lampo ti attraversò gli occhi, come se davvero, ti avessi detto la cosa giusta.
Fui felice.
E vidi il lato non egoistico dell'ascoltare gli altri.

venerdì 16 settembre 2011

Ora dei lieviti

Smise di ciondolarsi sulla sedia e stabilì che avrebbe passato i due minuti seguenti decidendo come affrontare il problema. Si conosceva, sapeva bene quanto la sua mente fosse abile a trascurare con disinvoltura il problema e a passeggiare allegramente tra gli argomenti più disparati, come quella volta in cui aveva passato un'ora e mezza divagando sull'orologio della cucina, che le aveva fatto ricordare quel giorno in cui sua nonna...
Comunque. Doveva decidere come porsi davanti al problema. Poteva, come era solita, lamentarsi pesantemente fino a quando, dopo qualche ora, finite le forze, la vita tornava ad essere splendida ai suoi occhi. Ma questa volta no, non aveva neanche le forze di lamentarsi. Poteva distrarsi...no, non poteva distrarsi. Poteva provare con il Valium. Ma abbandonò quasi subito questa soluzione.
Avrebbe voluto tanto trovare la forza per lasciare che tutto le scivolasse addosso, ma ogni cosa che la sfiorava le permeava dentro e le appesantiva il cuore, ormai preso d'assedio dalla malinconia, dalla stanchezza, dalla sfiducia, dalla tristezza.
La soluzione limpida allora le balzò nella testa. Si sentiva già sollevata. Sapeva bene di cosa avesse bisogno. Sapeva bene quale fosse il miglior antidoto per il suo cuore nero avvelenato.
Tutto le sembrava già più chiaro.
Chiuse il libro di Fisica. Mandò a 'fanculo la sua vita.
Prese il quadernetto, la penna, afferrò la sacca.
E andò al mare.

sabato 10 settembre 2011

Ora delle tigelle

ACCATASTARE PIATTI NEL LAVANDINO.
Probabilmente il cielo grigio e il freddo sbiadiranno i colori delle tue labbra, che non potrò più sfiorare rosse con le dita. Probabilmente il vento gelido farà nascondere il tuo collo, che non potrò più intravedere a mio piacimento. Probabilmente camminare sotto un portico di alberi spogli nei nostri cappotti ci farà sembrare tristi.
SCIACQUARE.
Non saranno tante cose. Non avrò tempo. Non potrò allontanare dalla mente le scadenze, le persone che non ho voglia di vedere. Non potrò. Non avrò. Non sarò.
SPUGNA E DETERSIVO.
Probabilmente sto solo fasciando con cura la mia testa, prima di essermela rotta. Probabilmente ho così paura, così ribrezzo, così terrore di questo inverno, che non ci faccio caso, al cielo azzurro e al caldo estivo al di là del vetro. Probabilmente devo solo ricordarmi che ogni tanto si può scappare, così, scappare. Probabilmente dovrei cominciare ad abbandonare tutti questi pensieri catastrofici.
RISCIACQUARE.
Sicuramente ci sarà una soluzione. Sicuramente potrò scappare, ogni tanto. Sicuramente questo inverno non sarà così crudele. Sicuramente ci saranno tazze di cioccolata calda. E pantofole. E plaid. E abbracci.
Sicuramente l'inverno passerà. Ma nel frattempo noi lo aspettiamo sorridendo, per le vie di campagna.

mercoledì 7 settembre 2011

Ora degli straccetti

Come un bambino che ha impiegato una mattinata intera della sua giovane vita a costruire un castello di sabbia. Ha progettato tutto nei minimi particolari, ed ha rifatto venti volte il ponte sulla sinistra perchè il suo compagno di giochi si ostinava a poggiarci il suo bel popò sopra. Ha anche trovato dei bastoncini tutti uguali per il ponte levatoio. Ma ora è tutto finito, il grande capolavoro della sua vita è completo. Non sa se nei decenni che gli rimangono da vivere farà mai una cosa così bella. Si sente soddisfatto. Corre dalla mamma e comincia a tirarla per la gamba, Devi venire, DE-VI VE-NI-RE!!! Torna lì dal suo capolavoro e... un cumulo di sabbia bagnata. Oh porca miseria.
Più o meno così.
Anzi no. Non come un bambino deluso perchè il suo castello di sabbia è andato a farsi un bagno.
Come un adulto, che nonostante abbia visto sgretolarsi migliaia di castelli di sabbia, ne costruisce uno impiegando una mattinata della sua vita. E poi...un cumulo di sabbia bagnata.
Esattamente così.
Insoddisfazione.
La gallina che non riesce a fare l'uovo. La ciambella senza buco. La formica che torna e trova la sua reggia distrutta da un piede di bambino.
Oh porca miseria.
La soluzione?
Se hai forza di volontà da vendere, ti metti e ricominci. Altrimenti passi con me il resto del tempo a piangerti addosso. Poi passa. Poi occorre ricordarsi che non tutte le cose sono state create per farti del male. Perfino il mare che distrugge il tuo castello.
E allora l'insoddisfazione e il senso di fallimento annidato sul cuore di sbroglia e si scioglie.
 E crolla il velo nero davanti agli occhi che è capace di farti confondere una nuvola bianca per una nera, un ramo per una vipera, un amico per un ladro, un amore per un assassino.


lunedì 5 settembre 2011

Ora dei safari

Si liberò dei vestiti e cercò l'angolo tra la nuca e i capelli, e respirò a fondo.
Vino e cannella. Un'ombra di fumo. Sciolse i bottoni della sua camicia e sfiorò il suo petto, cercandone i segreti, mettendo la mano in ascolto sul cuore.
Sui loro corpi giocava la fioca luce di un faro e quella della luna, tra le fasce d'ombra delle colonne del portico.
...la schiena sulle fredde pietre lisce... un lungo bacio al sapore di vino e cannella...
...le mise le mani sui fianchi, li sentì estranei, diversi... non riconosceva l'odore del suo collo e le pieghe dei suoi sorrisi...
Lei aprì gli occhi e la vide, lì in piedi, immobile. Cercò gli occhi di lui. Lui, stretto in quell'abbraccio adesso così ingiusto, così insensato, insipido.
Non si era mai accorto di come fosse bella. Le guardò gli occhi castani, lucidi di dolore.

Vino e cannella bruciano nella bocca.
Frecce di ricordi tagliano la testa.
Perchè l'ossigeno non finisce adesso?
Vino e cannella
corrodono
le rose bianche
al sole di primavera.