sabato 26 novembre 2011

Ora dei temi persi

Sprofondai nel divanetto verde e mi sentii a casa. Passò quella donna in carne con due dita di trucco, sicura nei suoi passi, la cui bellezza di certo non si vede, ma si sente, quella voce scura di donna. Passò il batterista, quello con gli occhialetti. Passò l'uomo col cappotto nero, sempre elegante, e mi chiesi per l'ennesima volta cosa ci facesse lì.
Sentii le tue mani nell'aula C. Potevi essere solo tu.In una dimensione diversa. Non eri carne, eri suono, eri un'anima nuda che arrivava alle orecchie e sconvolgeva.  Con le orecchie isolai i tuoi tasti dai sassofoni dell'aula L, e dalle voci alla reception, dalla batteria dell'aula G e dai vocalizzi nell'aula T.
Come se- tra tutti- l'unico suono per le mie orecchie venisse dai tuoi tasti.
Mi rigirai le cinque lettere del tuo nome nella bocca, dimenticando che le parole, se tenute troppo spesso,  diventano estranee.
Scivolai tra le tue note, mi lasciai avvolgere, portare via. Piansi dentro. Emozione sottile. Ti pensavo a dare vita al piano a coda dell'aula C, solo, nella luce fioca,  tra gli altri strumenti addormentati.
Dentro ti pregai di continuare per sempre.
Le ultime note.
Silenzio.


venerdì 18 novembre 2011

Ora dei tappi

Il vento accarezzava le rughe del vecchio, seduto ad assaporare un tramonto arancio del nuovo inverno.
Chiuso nel silenzio più profondo della sua affascinante saggezza.
Esiliato in qualche storia.
Di tutti i tramonti del mondo, quello visto da un balcone del terzo piano alla periferia di una cittadina senza capo nè coda, non è certo il migliore.
Eppure era lì, perso in qualche sfumatura.
Come se in tutti quegli anni, lasciati sui solchi del suo viso e delle sue mani, non ne avesse potuti vedere di migliaia, di tramonti.
Migliaia. Di tramonti.
Forse li collezionava. Forse era impazzito. Forse aveva dimenticato tutti quei tramonti.
Forse.

Lei uscì in balcone. Silenzio. Si avvolse nello scialle e gli si mise vicino.
Lui baciò la sua mano di moglie, di madre, di nonna.
Si sorrisero.

Forse non ci si può abituare. Forse è impossibile non stupirsi più, dopo migliaia di tramonti, davanti all'arancio vivo di un cielo o alla presenza silenziosa di un amore.
Forse.

martedì 15 novembre 2011

Ora dei delta a più delta bi

Era così presa nel moto circolare.
Nell'ingranaggio dell'accellerazione centripeta.
Immersa nei vettori.
Così traumatizzata dalla caduta dei gravi che meditava come creare del vuoto e farci cadere una foglia e un sasso.
Centosessantuno pagine di fisica.
Vomitava pigreco e cinematica.
Era così immersa nelle formule e nei moti di cose che avrebbero potuto tranquillamente starsi ferme.
Che quasi si dimenticò di essere felice.

venerdì 11 novembre 2011

Ora dei mal di testa

La mattina ha un che di sacro.
Si fanno cose, si vedono persone, non si parla, la mattina, se non per monosillabi.
Ci si immerge nella propria quotidianità piano, in modo che non faccia troppo male.
Si cammina. Per inerzia.
Poi succedono cose piccole, la mattina. Cose piccole che in quel momento ti sconvolgono.
Insomma, la mattina passi nel parcheggio e alcune foglie del fico sono gialle.
Ma di un giallo vivo che sembrano dipinte,  lì accanto alle sorelle verde speranza. Sono lì che svolazzano come le altre. Perchè le foglie gialle uno se le aspetta mezze penzolanti in punto di morte. E invece no. Erano vive, gialle giallissime.
Tanto che uno poi la mattina così, si chiede, di punto in bianco
Se lo sanno, le foglie gialle, che stanno lì lì per morire.