domenica 30 dicembre 2012

Ora dei ciondoli

Bene, è giunto il momento di fermarsi, girarsi, guardare. Come sempre. Come ogni anno, in modo del tutto abitudinario e prevedibile. Come al solito. Sono belle le cose Come al solito. E' questa la funzione dell'anno che ad un certo punto finisce e poi un altro comincia e poi finisce e poi comincia e poi e poi. Immaginate se non finisse mai, che squasso. Ok che magari questa cosa delle storie che si ripetono l'hanno messa per contare il tempo o per far spendere una barca di soldi ogni 365 giorni a Natale. Ma a me piace credere che sia stato fatto soprattutto per dare alla gente la possibilità di fermarsi, girarsi, guardare.
Come al solito.

Il duemilatredici però, sarà un anno molto poco Come al solito. Anzi. Pressochè nulla, sarà Come al solito. Quindi, se dobbiamo fare dei cambiamenti. Almeno facciamoli come si deve. Sgomberiamo la parete di tutte le cianfrusaglie.

Parete bianca, questo Duemilatredici.
Primo, pittiamola di blu.
Poi, ci appendiamo un cartone con scritto Everything is gonna be alright. (Può capitare di dimenticarselo)
Tre, avviciniamo uno scaffale:
Vocabolario di greco (solo per tenere ferme le altre cose, mica ciance)
I fiori del male,
Tarallini (la Puglia, nelle cose, serve sempre),
Vari cd indispensabili.
Quattro, appiccichiamo col patafix foto varie
Cinque, lasciamo lo spazio per il Diploma
Sei, la rete dei sogni, dove ho messo la rete dei sogni?!
Ecco, siamo a buon punto.
Ci mancano le stelline attacca\stacca fatte di Coraggio (brillano al buio, sapete?),
un quadro con la Maja,
macchie di caffè,
un paio di cuffie anni 80'.

Infine ci disegnamo un bel punto rosso. Il punto là. Quella del punto là è una storia antica, prima o poi la racconterò. In sostanza rappresenta gli obiettivi.
Rappresenta quello che vuoi essere. Lì dove vuoi che la tua vita vada. Rappresenta la felicità, la realizzazione, l'affetto, l'amore.

I punti là sulle pareti sono essenziali, indispensabili. Coltivateli.
La fine dell'anno è stata fatta per guardarsi indietro. L'inizio è stato fatto per disegnare punti là. Per sperare, per volere e desiderare. Sempre il meglio.
Cambierà in tutto, questo Duemilatredici. Forse. Certo, le cose belle sta a noi tenerle strette.
E usare tutto quello che abbiamo per avvicinarci al punto là, al meglio, al futuro che vogliamo avere.
Come al solito. Deliziosamente Come al solito.

domenica 2 dicembre 2012

Ora delle esposizioni

Mi piacerebbe lavorare in una stazione. Sono bei posti, le stazioni.
In una stazione non troppo piccola, così che nessuno possa conoscerti veramente, e non troppo grande, così che i treni non siano troppo grandi o troppo puntuali.
Potrei avvertire la gente di non avvicinarsi troppo ai binari, che poi c'è una variazione della pressione e si sbilanciano e muoiono.
E potrei poi ascoltare chi questa cosa della pressione la sa già e ha deciso di farla finita.
Potrei dare il benvenuto alla gente che arriva.
Ed abbracciare chi deve lasciar partire.
Potrei avvisare al microfono dei treni che arrivano (sì, lo so, questo lavoro esiste già) ed imparare nuove lingue e modi in cui dirlo. Tipo "Buongiorno! il treno delle tre è in ritardo, se a qualcuno va un caffè mi raggiunga al bar." oppure "Buonasera, facciamo tutti insieme una ola per il treno delle sette che ha ben cinque minuti di anticipo!".
Son bei posti, le stazioni.
Sono punti fermi che si lasciano attraversare dal mondo. Sono teatri della vita.
E poi a me piacciono gli abbracci. E allora come potrei, non voler lavorare in una stazione?!

lunedì 19 novembre 2012

Ora dei sassi

Vide il sole, con la sua luce, lì, nella mattina di una Domenica. E sul suo volto si crearono mille nuove graziose rughe, quando sorrise.
Amava il sole della Domenica. Era magico. Era leggero e silenzioso, un sole pronto ad ascoltare. Era limpido e felice. E le cose felici fanno bene al cuore. Lasciava dentro una pace necessaria, alla vita. Aveva un sapore sacro e fanciullesco. Il sole della Domenica era un universo a parte. Ti faceva scoprire una nuova forza dentro, una forza che no, non pensavi mica di avere. Come tutte le cose belle, faceva sognare. Condividere, sogni. Ma sconvolgeva.
Come un temporale, Il sole della Domenica,  rimescolava l'anima e meravigliava. Ecco com'era.
Si chiese come fosse possibile, non amarlo, il sole della Domenica.

sabato 20 ottobre 2012

Ora delle priorità

Dicono che i sogni siano come le stelle, o che le stelle siano come i sogni. Insomma, queste cose qua. Dicono così perchè beh, capitan ovvio, le stelle sono irraggiungibili, e brillano di luce propria. E' sensata come cosa, il fatto che anche i sogni, brillano di luce propria. E poi perché sono belle da vedere, le stelle, e anche i sogni, sono belli, sono belli da vedere negli occhi. Nessuno però, o forse qualcuno, chissà, ha mai pensato che poi, i sogni, solo quelli più grandi, esplodono. Collassano. Ed ecco un buco nero. Un buco nero dentro. Lì, dove non valgono tutte le leggi che conosciamo. Tutto inghiotte, niente sfugge. I sogni son cose importanti da portarsi dentro. E forse vale la pena non lasciarli esplodere. Che un buco nero è peggio, da portarsi dentro. Ecco.

mercoledì 10 ottobre 2012

Ora delle case in mezzo

-Sai qual è il segreto?
-No...
-E' circondarsi di una bolla di positività.
-Ah.
-...
-E io?
-E tu puoi starci con me. La positività è biposto.
-Ah ecco.

martedì 11 settembre 2012

Ora delle sale da pranzo

Se c'è una cosa che adoro, è quella degli amici del mattino. Sì, gli amici del mattino. Quelle persone che incontri ogni mattina, stessa ora, stesso posto, stessi gesti. La gente che dopo un po' ti sembra amica, familiare, ti porta dolcemente nella tua quotidianità, perchè non ti senti solo. Non so, deve essere così che si sentono gli attori, tutti insieme, stessa scena, mi raccomando non dimenticate nulla nemmeno stamattina. A me questa storia degli amici del mattino piace tantissimo. E' una delle poche cose dell'inverno monotono che non mi dispiace, sebbene sia una questione che trabocca monotonia da tutti i pori. Nel posto dove vivo, ho amici della mattina che durano tutto l'anno, alcuni anche da più tempo. Non so, ha il sapore di casa.

Mattino gelido di settembre, di un settembre che non è il mio. Non è il settembre del tramonto arancio sulla terra degli ulivi, non il settembre dei primi giacchini dopo l'estate calda e afosa, non è il settembre con l'odore di pioggia sulla terra. Mattino gelido di settembre, di un settembre che non è il mio. Di un settembre di tè e burro salato, di un Settembre di prati e castelli di Harry Potter, di un Settembre di scoiattoli e salici piangenti, weaping willows. Aspetto il mio bus avvolta nella mia felpa. Osservo. Tre ragazzini con l'uniforme rossa e la più piccola ha uno zaino a forma di gufo. Una ragazza grassottella e mal vestita si accende una sigaretta e aspetta con me. Passa un uomo in giacca e cravatta. Poi una mamma in bicicletta con due bimbi al seguito. Manca qualcosa. Ah, ecco. Una signora di mezza età, senza fretta, mi sfila davanti. Mi sorride. Forse mi sono aggiunta ai suoi, di amici della mattina. Io in questa mattina non c'entro un bel niente. Almeno credo. Non so. Tutto questo, ecco. Ha il sapore di casa.

venerdì 24 agosto 2012

Ora dei melograni

(son cose che poi ti senti orgogliosa)
Prima o poi sarebbe dovuto succedere. Mi sono guardata allo specchio e Ossignur e tu chi saresti?

Ora, chiunque abbia avuto la sfortuna di conoscermi, beh insomma, anche soltanto vedermi abbastanza spesso, sa bene che il mio armadio è composto da magliette, felpe, pantaloni, giacchini, t-shirts e chi ne ha più ne metta... blu.  Tutte le notalità... Di blu. Ho due vestiti blu oltremare, uno blu notte, uno turchese, uno azzurro e un altro acquamarina. Se sono psicopatica-malata-ossessiva? Beh se lo chiedono in molti.
Il problema è che, giuro, io ci ho sempre provato. A cambiare colore. Ma sempre con scarso successo. Ero certa di aver comprato qualcosa di rosso, verde, giallo, fucsia (beh fucsia no) e poi magicamente arrivavo a casa e... Toh, un acquisto blu. Sì, so che state pensando sia un ottima questione da proporre a mistero, valida almeno dieci volte più di quella tizia che vedeva i nani ma vabbè. Dicevo.
Prima o poi sarebbe dovuto succedere. Mi sono guardata allo specchio e Ossignur e tu chi saresti? Mi sarei data anche una stretta di mano se non fosse che allo specchio non è esattamente possibile. Mi sono detta Toh che trasgressiva! Prima di andare via, vincitrice,  con il mio primo vestito non-blu.

sabato 4 agosto 2012

Ora dei pulcini pio

Cominciò ad avere la vaga sensazione di essere ubriaca. La testa dolente, il corpo stanco e pesante, pesante come il cuore, annerito, da trascinarsi dietro.
 La sua anima persa dentro da qualche parte, impegnata nel tentativo di impedire alle emozioni di salire senza freni alla bocca e alla testa.
Vide la superficie del mare, ed il mondo fuori, il cielo liquido e le stelle lucide, coperte dal velo della superficie del mare. Un dipinto. Poi le emozioni e l'ubriachezza ebbero la meglio.
 Si lasciò scivolare, senza peso, nell'acqua scura, brodaglia calda e nera che è il mare, la sera. Perse i sensi, scivolando in un sonno dolce. Lì, nell'abbraccio delle onde, nel ventre del mare. Avvolta.
 Il mare la consegnò alla riva, una riva dalla sabbia morbida che accolse quel corpo sottile, quei fianchi, quei seni, quei lunghi capelli e quel viso accarezzato dal sonno dolce e ubriaco. Il mare la lasciò lì, stesa sulla sabbia, il corpo abbandonato e nudo e bellissimo e ubriaco e accarezzato dalla luna pallida, il cui riflesso faceva splendere (come se per una volta alla luna non gliene fregasse niente di essere la più bella), la lunga coda.

giovedì 28 giugno 2012

Ora dei titoli su commissione

Gli sembrò di vederla, tra gli scaffali del supermercato. Lui stava cercando di capire quale dei tanti detersivi per lavatrice fosse quello richiesto dalla lista e la vide, di spalle, che girava nel corridoio affianco. Lasciò tutto ciò che aveva per le mani e accellerò il passo, era felice,  e si ritrovò delle lacrime sulle guance, senza ben sapere come, né perché. Si affacciò nel corridoio affianco e no, non era lì. Andò più avanti e la vide, sempre di spalle. La raggiunse, e solo quando le fu vicino, così vicino da poterne avvertire l'odore, si sentì uno stupido. Perché non era lei, perché non poteva, essere lei. Si guardò intorno, si sentì perso. Le due file di scaffali del reparto Accessori per il bagno nascondevano le lacrime di uomo perso. La signora si girò, si accorse di quelle lacrime. Accennò un sorriso. 
Lui rimase immobile, pensò come sia difficile rendersi conto, davvero, della morte. Pensò che abituarsi, fosse una cosa orribile. Pensò che in fondo fosse meglio così, intravederla in un supermercato e correre da lei, che ricordare il suo volto dolce e un filo di perle al collo, lì stesa con le mani congiunte ed un fiore tra le dita. 

giovedì 14 giugno 2012

Ora dell'acqua e dei fiori

Ti urlai Baciami. Nel più infantile dei modi.
Non lo sentisti.
Tutto sommato era comprensibile. Era dentro, che urlavo.
Ti urlai Baciami e tu non lo facesti.
Un po' piansi.
Ma tu non lo vedesti.
Tutto sommato era comprensibile.
Era dentro, che piangevo.

sabato 9 giugno 2012

Ora dei pezzetti di legno

FRASI SCONCLUSIONATE PARTORITE GIROVAGANDO PER TORINO.

Il palazzo Madama a Torino, ad un certo punto, decide di cambiare epoca.

A Torino non si fa la fila da nessuna parte, tranne al GROM. E all'aeroporto.

Doveva essere proprio ricco questo re.

Nel collegio dei salesiani c'è un prete sprecato. Doveva fare il modello.

A Torino, sullo sfondo, ci si son messe le Alpi. Per farsi fotografare dalla cupola di Superga. Mica ciance.

Evidentemente dovevano averle rotto le scatole, che ora al museo egizio c'è solo lei, la dea della vendetta, Sekhmet.

Al castello del Valentino ci entrano solo quelli con i rotoli. (Gli altri cugini no) (Però poi la guardia buona dice Solo trenta secondi)

Sotto i portici di via Po il sole entra ed esce ad intervalli regolari.

Arriva un punto del tramonto in cui la Gran Madre con le sue forme tonde, si specchia nel Po. Sembra felice, lì.

La stazione deserta, la sera, si riposa dal caos del mattino.

mercoledì 23 maggio 2012

Ora delle barche di carta

Arriva un certo punto del pomeriggio, in cui le rondini impazziscono e volano basse.
E ogni pomeriggio, il gatto si prende la briga di salire sul cassonetto, solo per guardarle. Le segue tutte muovendo solo il collo. Forse sa già di non riuscire a prenderle in ogni caso. 
E allora lo vedi lì che passa il suo tempo girando la testa in alto seguendo le rondini, seduto sul cassonetto. 
E mi viene di pensare che se uno ha il tempo da perdere ogni giorno con la testa in alto a seguire le rondini, beh, uno fa proprio una bella vita. 

sabato 12 maggio 2012

Ora del gelato alla liquirizia

Non sapeva dell'esistenza di quel posto. Fu lo zio, quella mattina, a dargli quella chiave e dirgli che, se gli andava di starsene un po' da solo, poteva andare lì. 
E in effetti lui, quel pomeriggio, ci andò. Ora, davvero si sarebbe aspettato di tutto, lì dentro. Ma mai -mai-  una donna.  Seduta per terra con la schiena al muro, aveva un abito da sera rosso e delle scarpe col tacco, i capelli raccolti ed il volto truccato. Lui le avrebbe dato quarant'anni, ma ai giovani gli adulti sembrano sempre un po' più grandi di quello che sono. Neanche lei, a dir la verità, si sarebbe aspettata mai -mai- di veder entrare un ragazzo, lì. Lei gli avrebbe dato non più di diciotto anni, ma non si è mai certi in quell'età lì, per la storia dello sviluppo che non avviene sempre nello stesso momento e cose così. 
Si sedette per terra anche lui, con la schiena sul muro, di fronte a lei. Cioè, non proprio di fronte, per darle la possibilità di guardare dritto nel vuoto senza per forza averlo davanti. Era una cosa sensata. 

Vagarono con gli occhi per la stanza, poggiandosi su tutto e su niente. Evitandosi, come se fossero entrambi soli. 
Poi abbandonarono la paura di essere invadenti e presero a guardarsi. La prima cosa che gli occhi di lei cercarono, furono le sue mani. Poi il resto, piano, senza fretta. Arrivarono agli occhi. 
Rimasero così, a guardarsi, per un tempo che nessuno sa. 
Negli occhi. 

Lei, poi, scoppiò in lacrime. Piangeva in un modo che chiunque l'avesse vista, si sarebbe sentito inutile. Lui rimase immobile, non poteva esserci gesto o parola, valido, sensato. 
Era come se non piangesse da anni. 
Come se non avesse mai -mai- pianto. 
Come se nessuno avrebbe mai potuto consolarla. Lui non aveva mai visto una donna piangere in quel modo. 
Faceva troppo male. Chiunque l'avesse vista, avrebbe sofferto un po'. 
Piangeva di rabbia, ora. Si slacciò le scarpe alte, avevano lasciato un segno sulle caviglie. 
Bisogna immaginarselo fatto con rabbia. Poi si liberò dell'abito da sera. Si slegò i capelli e tolse gli orecchini. In un cassetto trovò una maglia di cotone lunga, maschile. La indossò e sembrava quasi più bella, pensò lui. 
Tornò a sedersi, e piano smise di piangere. Le ultime lacrime sgorgavano lente, non era più rabbia, quella era solo malinconia. Lui pensò che faceva male quasi più di prima. 

Smise di piangere. Esausta. Si sistemò sul pavimento, e nell'ultimo rosso raggio di sole dalla finestra, si addormentò. 

venerdì 4 maggio 2012

Ora del paracetamolo

Aveva un vestito di cotone celeste, e dei capelli neri al vento che le scoprivano a tratti il collo e le spalle. La vecchia la vide seduta sul muretto davanti alla sua casa, davanti a lei una distesa di scogli, e poi il mare. C'era quella luce bluastra che lascia il sole tramontato da poco, ombra, non buio. Quella luce strana, del pomeriggio che non decide a diventare sera una volta per tutte e lascia il mondo sospeso indeciso se accendere la luce o meno. La vecchia andò in cucina e prese un bicchiere di latte tiepido. Le si avvicinò senza dire niente. Lei continuò a guardare fisso il mare. Nessuna parola.  Evitarono gli sguardi sospetti e le parole inutili, forse perché i giovani e i vecchi le evitano, le parole inutili che si scambiano gli sconosciuti. La vecchia le porse il bicchiere di latte. Con una voce sottile, piano, di chi sa esattamente ciò che vuole dire, prima di rientrare in casa, disse Il mare, a quest'ora, fa male.

domenica 29 aprile 2012

Ora delle stampe

Mi scusi..
Sì? Ce l'ha con me?
Sì, ecco... piove e l'autobus passerà di qui tra una decina di minuti...
Sì, lo so.
E lei è senza ombrello, insomma, mi permetta...le faccio spazio sotto il mio...
No grazie non si preoccupi...
Guardi, insisto, sarà bagnata fradicia...
Non è un problema...
...
E' che non mi piacciono gli ombrelli.
Capisco. Cioè no...come sarebbe a dire che non le...
Non mi piacciono. Mi scusi ci sarà pur qualcosa che non le piace, no?
Sì, il formaggio sul brodo. Ma questo non vuol dir nulla!
Vede! E' la stessa cosa. A lei non piace il formaggio sul brodo. A me, gli ombrelli, non piacciono.
Ma gli ombrelli sono indispensabili, il formaggio sul brodo no.
Questo lo pensa lei.
Mi perdoni la domanda fuori luogo ma, da quanto è che non le piacciono gli ombrelli?
(Sorrise) Da sempre.
E in tutto questo tempo quante volte si è ammalata di polmonite?
Zero. Lei che usa gli ombrelli?
Due.
Vede? E' come il formaggio sulla pasta.
Sul brodo. Ma mi permetta di dirlo, lei è matta! Su, guardi se vuole le lascio il mio ombrello, non importa.
Le ho già detto che sto bene così.
E' completamente zuppa.
(Sorrise di nuovo) Lo vedo.  Lei è asciutto.
Non le piacciono gli ombrelli.
No, non mi piacciono.


martedì 24 aprile 2012

Ora delle terre lontane

Una ragazza dal maglioncino a righe, i capelli scuri e ricci sulle spalle, e l'aria felice. Parlava al pubblico, ricordo che cominciai ad ascoltarla, ma mi persi. Qualche parola, non ricordo quale, mi portò via. Capita così, ti ritrovi in altri mondi senza accorgertene e senza sapere nemmeno come hai fatto ad arrivarci. Maledette parole! Uno magari vuol sentire una cosa e no, una parola, una sola, se lo porta a spasso nella giungla dei pensieri, fregandosene altamente della sua voglia di ascoltare. Non ricordo tra quali pensieri mi persi. Ricordo però che quando tornai in quella stanza lei stava alzando gli occhi sul pubblico, e concludeva con una sola frase, semplice, dall'aria felice. Un sorriso sottile tra le sue labbra. Disse Amare non è mai una cazzata.
Disse.
Amare, non è mai, una cazzata.

giovedì 19 aprile 2012

Ora delle pieghe e delle piaghe

Cosa resta? Cosa resta, quando crolla ogni stabilità, ogni dolcezza? Cosa resta quando si frantuma ogni sicurezza?
Si resta soli. Soli, e indifesi. Nel fango del mondo. Soli e indifesi, inutili, incalcolabili.
Si resta deboli, sfiniti, a piangersi addosso.
Restano le briciole. Restano cuori e coscienze da trascinarsi dietro, fardelli.
 Restano paure da indossare sotto i vestiti.
Resta il sottile terrore del vuoto e del buio, solo che questa volta nel vuoto e nel buio non c'è nulla che assomigli al corridoio della vecchia casa di tua nonna, o all'armadio di legno di fronte al tuo letto, così inquietante, la sera.
 Questa volta il vuoto e il buio, lo sono per davvero. E annidati come cancro dentro i corpi, a cibarsi delle tue speranze.
Uscirne illesi, manco a pensarci.
Resta il riflesso di un corpo, il tuo, nudo davanti allo specchio, scoprirsi adulto ed avvertire il peso della propria esistenza sulle gambe, mai come ora in piedi da sole.
Restano ombre di abbracci che non scaldano, non salvano più.
Resti tu, solo e terrorizzato.
Resta il freddo gelido di parole che non confortano, sguardi che non amano.
Resta lo smarrimento, restano troppi dubbi.
Persi.  Solo che questa volta non c'è nessuno, a prenderti in braccio e riportarti a casa.
Questa volta, è la vita vera.
La vita vera, è ciò che resta.
Si resta soli e indifesi a tenere per le mani la propria vita.
E pesa.

sabato 7 aprile 2012

Ora del vino

Quanta nostalgia nei suoi gesti lenti e precisi. Era tempo che non provava quella dolce sensazione che provocava lo sguardo di sua nonna, comprensivo, complice, bastava cercare i suoi occhi e lei già sapeva tutto quello che c'era da sapere. Forse anche qualcosa in più. 

Marinaio che ha perso la rotta, quella casa per lui era terra e salvezza.  Nulla e nessuno avrebbe più potuto fargli del male. Il vapore del piatto fumante sul suo volto.

 Quella ricerca di calore. Ritrovare le sensazioni di un tempo è per gli uomini un'assicurazione contro la solitudine. Cercare un posto che abbia il sapore dolce dell'amore incondizionato, dell'accettazione, della presenza. Della presenza, quella Nonostante tutto. La sacralità degli stessi odori, degli stessi sapori, delle stesse cose, per sfuggire dal resto, che cambia. 

La sicurezza di potersi rifugiare in una terra che è sempre uguale. Solo per l'ebrezza di appartenere, di non essere solo, di avere collocazione nel mondo. 


domenica 25 marzo 2012

Ora delle carote

Cannella.
Ricopre i pensieri nel sole del mattino.
Sapore acre di terre in attesa.
Pizzica sulle labbra,
come i desideri.
Risveglia i sensi dal torpore
dell'inverno...
Riaffiorano vecchi difetti
e malinconie nascoste nel tentativo di non trovarle più
ma, riaffiorano solo
per farsi distruggere.
Cannella.
Occhi e stelle che brillano di luce nuova.
Voglie.
Desideri atavici.
Riscatto.
Cannella. Ecco che sapore ha questa primavera.

venerdì 9 marzo 2012

Ora delle forze centrifughe

Insomma, ognuno funziona a modo suo.
C'è chi va a lenticchie, per esempio. Oppure ci sono quelli che funzionano a cioccolate. Altri, funzionano a caffè. Poi ci sono quelli che vanno avanti a bel tempo, che è meglio non trattare nelle giornate piovose per evitare inutili assassinii. Altri ancora vanno avanti a musica. Mentre alcuni si nutrono di libri. E altri vanno a matematica, e quelli sono molto sfortunati. Poi alcuni vanno avanti a successi. Altri invece vanno a risate, ed averli come amici  è una gran fortuna. Altri ancora si nutrono di pettegolezzi, e anche loro, come i matematici, sono stati molto sfortunati. Altri ancora vanno a panini con la mortadella.
Io, io credo di funzionare ad abbracci. Ecco.

sabato 25 febbraio 2012

Ora delle tele

Se solo
potessi
sollevarti
quella malinconia
dagli occhi.
Se solo
potessi
scioglierti
il dolore
dalle parole.

Se solo tu potessi
vederti
con i miei occhi.

Allora capiresti.
Capiresti davvero.
Tutto quello che sei.
E che puoi essere.
Ritroveresti tutto quello che hai perso.
Uno. I sogni. Un tempo cibo e sostentamento.
Due. La voglia. Di combattere il mondo.
Tre. La determinazione.
Quattro. L'autostima. L'amor proprio.
Cinque. La sicurezza. Quella che mi sconvolgeva nei tuoi occhi.
Sei. Una strada. La strada che c'era e non c'è più. Sì è disfatta, sgretolata, persa. Lo so. Il problema è questo. La strada disfatta.

Se solo tu potessi
vederti
con i miei occhi.

Allora capiresti.
Capiresti davvero.
Che non vale la pena arrendersi, quando si ha così tanto ancora da dare al mondo.
Che piangersi addosso non serve, quando si ha tutta la vita davanti.
Che dovresti reagire.
Capiresti. Ed ameresti tutto quello che sei, che vuoi, che puoi.


martedì 14 febbraio 2012

Ora delle ringhiere

Pensava che ogni traccia di lei nella sua vita, fosse stata accuratamente messa da parte.
Non eliminata- le persone mature non eliminano i ricordi, li superano. Lui pensava di averlo fatto.
Fu l'elenco telefonico a tradirlo. Non ci si può fidare proprio di niente!
Lo tradì nascondendo una foto, che un giorno, prima o poi sarebbe capitato, rispuntò.
Ricordava quella mattina, ne ricordava il sapore di pace e perfezione. E luce, sparsa sulle lenzuola bianche.
Aspettò in silenzio che lei si svegliasse, guardandola dormire e respirare.
Quando fu sveglia gli disse di non muoversi, allungò le mani sul comodino verso la macchina fotografica.
Una foto in bianco e nero, le sue spalle e i suoi capelli e la luce e le lenzuola di quella mattina d'estate. La felicità. Aveva una luminosità precisa.
Pensava che ogni traccia di lei nella sua vita, fosse stata gentilmente messa da parte. No, non eliminata, le persone mature non eliminano i ricordi, li superano.
E lui, pensò,
evidentemente non era ancora pronto per farlo.

martedì 7 febbraio 2012

Ora delle sedie blu

Dovrebbero abolire l'adolescenza. Ecco.

domenica 29 gennaio 2012

Ora delle penne verdi

Ancora con le labbra che sapevano di cioccolata, camminavamo vicino al porto, l'una di fianco all'altra. Fino ad arrivare a quella che costituiva la fine del percorso, i massi che impedivano di guardare oltre.
-C'mon!
Mi dicesti, e inizialmente pensavo stessi scherzando, ma cominciai ad avere qualche dubbio quando cominciasti a scalare i massi. Il tuo corpo esile, sottile, che si arrampicava con leggerezza lì sopra. Mi stavo chiedendo se anche lì il numero delle emergenze fosse 118 e cosa, avrei dovuto esattamente dire.
Ti girasti, e aggrottasti le sopracciglia quando constatasti che no, non ti stavo seguendo.
-Follow me!
Sì, una parola. La parola: fifona. Ma niente, non sapevo come spiegartelo in quella lingua. E così presi coraggio e cominciai ad arrampicarmi anch'io. Tremante di paura come sempre. Vedendomi perdere l'equilibrio mi tendesti la tua mano sottile. Ora, non ho mai pensato di essere grassa, ma certo saremmo cadute entrambe se l'avessi presa. Qualche metro più in là, decisi che non sarei andata oltre, mi sedetti.
Ne era valsa la pena, l'oceano freddo del nord recitava la sua cantilena davanti ai nostri occhi. Mi facesti segno che avresti proseguito un po', e vidi le tue gambe minute saltellare di masso in masso.
Era come avere una posizione privilegiata rispetto al mondo, lì, sull'orlo dell'isola, davanti all'oceano e a quel suo essere così- diverso.
Ti sedesti al mio fianco. Solo l'oceano, a parlare.
Lacrime sottili sui tuoi occhi nocciola, e un ciuffo di capelli rossi impiastricciato sulla tua guancia.
Come avrei potuto parlarti? Non distolsi lo sguardo, quella mancanza di parole ci aveva insegnato ad osservarci e a conoscerci per tutto il resto. Se avessimo parlato la stessa lingua, non ci saremmo conosciute così bene. Complicità. In una maniera che- mai avrei pensato. Chissà, chissà cosa avrà pensato l'oceano, guardandoci. Sapendoci esploratrici insoddisfatte dell'acqua putrida del porto, lì uniche spettatrici.
Un pianto leggero, come te, leggero.
Puntasti il dito all'orizzonte e dicesti Laggiù c'è casa tua, girasti il braccio a sinistra e Laggiù c'è casa mia, da qualche parte.
Cercai di dirti che casa può essere qualsiasi cosa. Ma molto probabilmente non capisti.

sabato 21 gennaio 2012

Ora delle piastrelle

Fuori dal finestrino ogni cosa era tinta di nero mentre il cielo bruciava di arancio del tramonto. Lei si sistemò nel ventre del treno, mentre l'Italia scorreva fuori, e la riportava a casa. Mancavano solo sei ore. Solo sei ore. 
All'inizio erano solo lacrime sottili, poi divenne pianto. Non fece rumore, un uomo sulla cinquantina dormiva sul sedile di fianco.Era ben vestito e odorava di dopobarba. 
 Lasciò che le lacrime scivolassero lente via dai suoi occhi.
 Lo sguardo fisso fuori, mentre la pianura scivolava via insieme al sole.  
Un ragazzo sulla ventina di fronte a lei le fissava le guance umide. 
I treni sono esseri pieni di nostalgia. Filtra dai sedili, dalle luci sul soffitto, dai vetri sporchi dei finestrini. 
Il suono, del treno, rende nostalgici. Tu-tum. Tu-tum. 
Perchè sei a centimetri di distanza tra la gente, e sei solo. 
Cercò di distrarsi guardando la gente, e giocando a tentare di capire quali storie si portavano addosso. 
Scorse un abbraccio qualche sedile più in là. 
E cedette di nuovo alle lacrime. 
Finchè, esausta, non si addormentò. 

giovedì 12 gennaio 2012

Ora dei piedi freddi

(Post ad alto contenuto di glucosio, stare alla larga se tendenzialmente diabetici)


Giorni che scivolano e si portano addosso un'inquietante vuotezza.
Come una stanza con le pareti bianche.
Come una stanza vuota con le pareti bianche.
E senza musica.
Ecco come.
Senza musica.
Senza soffio vitale.
Andiamo via. Su, dai, andiamo via. Mangeremo bacche e sogni. E non sapremo mai se è Sabato o Mercoledì. Andiamo via. Vediamo il mondo e riempiamoci gli occhi di ogni emozione. Corriamo. O rotoliamo giù per le colline con la stessa felicità dei bambini. Se ci vien voglia di farlo. Cantiamo. E ordiniamo alla gente di cantare con noi. E balliamo, senza saper ballare. Non importa.Fermiamoci ogni giorno a cercare nuovi colori nel tramonto. E contiamo le stelle, e se non ci sono allora contiamo le nuvole. Sfidiamo il tempo intero, perdendo gli orologi.
 Casa sarà dove saranno i nostri abbracci.
Quindi andiamo via.
Non per sempre.
Poi, dopo un po', credo mi piacerebbe tornare.
E allora saranno stanze piene di cianfrusaglie e con le pareti colorate.
E con la musica.
Ecco come.
Con la musica.

lunedì 9 gennaio 2012

Ora dei neuroni

Non so. Non so cosa poteva essere quel tuo abbraccio.
Poteva essere Hai freddo. O forse Ti ricordi. Poteva essere A presto. Oppure Mi sei mancata. O Da quanto tempo. Poteva essere Eccomi. O forse Ti voglio bene, ancora.
Non so. Non so cosa ho ritrovato nel tuo abbraccio.
So solo che ne avevo voglia. Da quando ti ho rivisto. Ne avevo voglia.
E che sì, ti voglio bene anch'io, ancora.

domenica 1 gennaio 2012

Ora delle strisce rosse

Che se non scrivo un post di inizio anno, non posso cominciare l'anno come si deve.
Potrei perdermi in un analisi approfondita dell'anno scorso e fare una lista dei buoni propositi del nuovo anno, che, come è giusto che sia, non saranno mai rispettati.
Però, ecco, non mi va. Giuro, ci ho provato, e le cose da annotare sarebbero così tante che ne uscirebbe una lunghissima lista della spesa di cose che, poi, andrebbero suppergiù a marcire in frigo. E allora ho deciso che la lista della spesa non si fa.
 Si va al supermercato, si gira tra gli scaffali e si decide sul momento. Poi, quando sarà il momento di mangiare, si apre il frigo e si inventa. (Non si vede che non cucino, no?).
E allora che ognuno si prepari la ricetta del tanto temuto Duemiladodici come meglio crede.
Volete sapere la mia?
Beh, io ci metterei

Magari una macchina fotografica nuova
E un vestito, toh (così forse la smettiamo di andare in giro sempre e solo con i jeans)
Una buona dose di sorrisi (quelli veri, eh)

Due cucchiai abbondanti di determinazione (che serve sempre)
Tanta cioccolata (anche questa, serve sempre)
Qualche viaggio
Molti ritorni
Poche lacrime (giusto la dose necessaria)
Troppe parole (come al solito)
E troppo inchiostro (come al solito)
Non troppe tazzine di caffè (devo disintossicarmi. prima o poi)
Qualche Non importa.
E tantissimi Grazie. 
Due tazzine di fiducia
E altrettanto di sincerità
Tre cucchiai abbondanti di sogni e speranze
E coraggio per non farseli distruggere
Innumerevoli abbracci (essenziali)
Un porcospino di paglia
Qualche goccia di dolcezza
Delle filastrocche
Delle poesie
Della musica (e dei musicisti)
Una buona dose di Amicizia (quella vera, non ci accontentiamo delle imitazioni)
e come scrive la nonna tra gli ingredienti della crostata,
non dimentichiamoci, 
Un pizzico di Amore. Della migliore qualità. 

E voi, cosa state preparando? 
Buon Duemiladodici.